Si è appena conclusa a Milano l’edizione 2025 del MiArt, la fiera di arte contemporanea che dal 3 al 6 Aprile ha animato il weekend dell’Art Week raccogliendo negli ampi spazi del MiCo le selezioni di 179 gallerie provenienti da 30 paesi.
Il soggetto scelto, a questo giro, ha una potenza evocativa intrinsecamente intimistica: “among friends” in effetti, è un tema che è emerso quasi naturalmente dal progetto di mostra diffusa dedicata ai 100 anni di Robert Rauschenberg (Museo del Novecento, fino al 29 giugno 2025), artista per sua natura collaborativo, sinergico. Un artista che rievoca naturalmente gli appartamenti newyorkesi, le camere e le strade underground dove coloro che ricordiamo oggi come beat generation si erano incontrati, avevano discusso e creato tra bottiglie e sigarette e vinili. Influenze e commistioni che legano biografie, definiscono correnti (artistiche, letterarie, cinematografiche, un po’ tutto) e che – forse in forma un po’ romanzata, ma verosimile nelle sue licenze – vengono riportate dalla storia e dalla critica proprio così, come “esperienze”.
Rauschenberg, per chi non ne avesse familiarità, è stato un artista statunitense di difficile collocazione: vicino alla pop-art ma non del tutto al suo interno, simile al dadaismo ma più tardo, viene comunemente inserito in una corrente di New Dada o Espressionismo Astratto. Le sue opere sono principalmente collage, composizioni di ritagli, oggetti trovati, materiali e sovrapposizioni.
È però un’opera di John Giorno ad aver in qualche modo reclamato la propria emblematicità rispetto al tema “among friends”. “Dial-a-poem” è forse uno dei primi casi in cui la tecnologia integra l’arte: è un telefono, si alza la cornetta, si digita un numero a caso e una voce registrata legge una poesia. è una piccola variazione rispetto alla sua forma originale: se fossimo nel 1968 e negli States, per ascoltare queste registrazioni ci basterebbe alzare la cornetta e comporre il numero (212) 628-0400. Ci avrebbe risposto una voce tra le 35 registrate dagli amici di Giorno: Allen Ginsberg, William S. Burroughs, Diane Wakoski, Abbie Hoffman dei Chicago Seven, Amiri Baraka, Patti Smith.
Un paio di anni dopo, Giorno propose queste voci in una installazione al Moma, trasformando vecchi telefoni in sculture interattive, una delle quali è adesso in Triennale, fruibile ai visitatori fino al 13 aprile.

Foto storica dell’installazione “Dial-a-poem” di John Giorno al Moma nel 1970
Torniamo al Miart, che quest’anno era diviso in tre sezioni: Established, l’esposizione più ampia, con gallerie ben affermate; Emergent, con una selezione di 25 giovani gallerie e curatele emergenti; e Portal, che riunisce 10 gallerie per altrettanti progetti monografici.
SZ Sugar, casa editrice musicale del gruppo Sugar Music, ha raccolto nel suo stand una selezione di opere che mostrano la possibilità interdisciplinare della musica. Abbiamo trovato soprattutto pezzi del Novecento: una partitura di Marcello Panni del ‘66 che esplora il rapporto tra segno, scrittura musicale e arte visiva; materiale riguardante Allez Hop di Luciano Berio, opera (o meglio racconto mimico) dove i testi sono di Italo Calvino; le scritture di Carmelo Bene per l’ Hyperion di Bruno Maderna, con 7 disegni di Massimo Bartolini. Tutti esempi di arte che nasce dal lavoro congiunto. Era presente anche il vincitore del premio che l’azienda dedica ad un artista emergente: si era chiesto di interpretare Musica per una Fine di Ennio Morricone, e il pavese Mario Airò (rappresentato da VISTAMARE, sita in Pescara e Milano) l’ha fatto connettendo la partitura a un testo di Pier Paolo Pasolini, creando un collage su cui ha pressato la corolla di una rosa gialla imbevuta di alcol.
Nella sezione Portal, la galleria portoghese Coletivo Amarelo ha posto in dialogo i lavori di due artiste brasiliane – Juliana Matsumura e Flavia Regaldo – con le loro opere meditative, quasi mappe dello spirito e del territorio alla ricerca delle radici e delle rotte della migrazioni delle generazioni precedenti (Matsumura è di origine giapponese, Regaldo italiana) e della maniera in cui tali migrazioni ed evoluzioni, tali traslazioni spazio-temporali plasmano l’identità di un individuo. Il dialogo è concettuale ma anche visivo, con le opere che condividono un tratto estetico che ha qualcosa in comune, dai colori tenui, dalle linee sottilissime, dai dettagli che non vedi immediatamente, ma vanno cercati con l’occhio vicino alle tele.
Tra gli Estabilished, la milanese Galleria Giampaolo Abbondio ha proposto una selezione di fotografie di Nan Goldin. Qui l’among friends è immediato nel contenuto, più che nella forma (anche se la vita della Goldin meriterebbe una discussione a parte). La Goldin scatta, con una tenerezza che trapela dalla sua lente, momenti di comunità se non di comunione. Scatta tra le comunità di emarginati, di gay, di drag queens, di prostituti e prostitute nei quartieri più evitati di Boston, New York, Berlino, Manila. Immortala i suoi coinquilini in momenti della vita, amiche e amici devastati dall’eroina o dall’AIDS, o che si sposano, o che giocano con i figli, o che consumano un amplesso.
Ad ottobre 2025, lavori di Nan Goldin saranno esposti e visitabili in Hangar Bicocca, a Milano, per chi volesse approfondire.



da sinistra: “Musica per una Fine” di Mario Airò ; lo stand di Coletivo Amarelo con le opere di Matsumura e Regaldo ; lo stand di Galleria Giampaolo Abbondio con le foto di Nan Goldin
Altre gallerie, tra cui segnalo la milanese Secci, la romana Studio d’Arte Campaiola e la Galleria De’ Bonis di Reggio Emilia, hanno invece proposto un approccio più classico, con opere di artisti italiani: Ligabue, Schifano, De Chirico, Depero, Carla Accardi, Titina Maselli. Artisti che si legano al tema per le loro amicizie e influenze, ma anche per la capacità di interconnessione con altre discipline, come la musica, il teatro e la danza.
Intenso anche il contributo delle aziende, oltre alla già citata SZ Sugar: Ruinart ha curato un corner di degustazione di champagne ed esposto le istallazioni dell’artista Julian Charrière; Herno ha dedicato alla fiera un caffè letterario; Intesa Sanpaolo ha portato nella sua area proprio un’opera di Rauschenberg, Blu Exit.
Diversi anche i premi assegnati: MSGM ha supportato Chiara Enzo (rappresentata dalla galleria ZERO… di Milano, in sezione Established); il premio Matteo Visconti di Modrone è andato a Ruth Behara rappresentata dalla galleria Ncontemporary (Milano, Venezia e Londra) in sezione Established; Il gruppo Nexi ha assegnato il premio Orbital Cultura dedicato alla fotografia alla svedese Linda Fregni Nagler, rappresentata da Monica de Cardenas (Milano, Zuoz, Lugano) e VISTAMARE (Pescara, Milano) in sezione Established.
Herno ha premiato come migliore stand espositivo la galleria LC Queisser di Tbilisi in sezione Established mentre per la sezione Emergent il Premio LCA Studio Legale è andato alle gallerie in co-esposizione Matteo Cantarella (Copenaghen) e Shahin Zarinbal (Berlino), che hanno presentato opere di Sanna Helena Berger e Cecilie Norgaard.
Un’opera di Catherine Repko, rappresentata dalla galleria Huxley-Parlour di Londra, è stata acquisita dalla Badr El Jundi Foundation. Il camerunense Victor Fotso Nyie, invece, ha vinto il Premio Rotary Club Milano Brera per l’Arte Contemporanea e Giovani Artisti con la sua opera Renaissance (2023), presentata dalla galleria P420 (Bologna) nella sezione Portal.
AMONG FRIENDS – il valore sociale dell’amicizia nel mondo contemporaneo
Onorando il tema, al Miart 2025 e agli eventi ad esso correlati sono andata con una cara amica – Irene de Cristofaro, che con l’interdisciplinarietà ormai va a braccetto: avvocato penalista e Art Lawyer, Curatrice di progetti e mostre incentrate principalmente su arte contemporanea, post-graffitismo e post-vandalismo, e Project Manager dell’associazione DonneXStrada, che si occupa di temi legati alla violenza e alla disparità di genere.
Trascorrendo le ore passando in rassegna una galleria dopo l’altra , il mio pensiero si è soffermato intorno alla soggettività del concetto di amicizia. Mi spiego, perché una definizione di amicizia è in definitiva abbastanza semplice: l’autorevole Treccani la propone come “vivo e scambievole affetto fra due o più persone, ispirato in genere da affinità di sentimenti e da reciproca stima”.
Eppure, come per molte definizioni, sembra sempre che manchi qualcosa. Forse una dimensione di ancoraggio, con il circolo amicale che diventa un contesto che forgia, plasma, spinge o sotterra; o forse una dimensione di prospettivismo, considerato che presupporre che l’amicizia nasca sempre da affinità di sentimenti e reciproca stima sembra quanto mai naïf in un mondo dove le relazioni si legano a dinamiche molto più complesse, irrazionali, spesso turbolente.

foto scattata al Miart 2025
Può essere utile pensare alla raffigurazione letteraria e cinematografica dell’amicizia: impariamo tanto dai biopic, romanzati o meno, dove un amico o un’amica è il perno di una scelta o il punto di riferimento emozionale del protagonista; dai film e libri di formazione, dove si cresce insieme, che si voglia o no, dove a volte quasi ci si distrugge; dai fantasy, perché nessun eroe, per quanto possa essere solitario e antisociale, può non essere accompagnato se non vuole evitare di fare una brutta fine in tempi record (e generazioni intere che hanno visto Star Wars, Harry Potter, Il Signore degli Anelli, Dune lo sanno). Per non parlare delle variegatissime rappresentazioni nel complicato universo degli anime giapponesi.
Amicizie che sorreggono, altre che tradiscono, altre che sono una forza creatrice dirompente. Che siano un contorno o che siano i protagonisti, i gruppi di amici cambiano le vicende.
Al giorno d’oggi, il tema della solitudine e della rarefazione dei rapporti sembra uno dei drammi del presente, oggetto di attenzione per studiosi, pedagogisti e sociologi ma anche per politici, economisti, medici, imprenditori.
Perché, in qualunque modo e con qualunque esito, l’amicizia è indispensabile all’uomo.
Del resto, come disse Blake in alcuni versi, “the bird a nest, the spider a web, man friendship”.