Lucio Dalla: La Magia della Musica e delle Parole

Tempo di lettura: 4 minuti

Quella che segue è un’”intervista impossibile” con Lucio Dalla ove si percorre la sua visione artistica.

Vincenzo (V): Caro Lucio ti scrivo, così mi distraggo un po’. Mi trovo di fronte ad un colosso della musica italiana, ad un autore che non solo ha saputo ideare testi brillanti, ma ha anche avuto l’intuizione di individuare la giusta corrispondenza di significato degli stessi con il tono musicale, fatto non necessariamente usuale in questo contesto: è il caso di innumerevoli canzoni, fra le quali annoverare “Com’è profondo il mare”, “Telefonami tra vent’anni”, “Attenti al lupo”, “Piazza grande”, “Disperato erotico stomp” e altri di non minore rilievo. Il punto su cui mi è gradito insistere è il senso dell’inaspettato, dello stupore che l’ascolto di tali brani è in grado di suscitare, giacché mi pare che lei abbia deciso in qualche modo di “sacrificare” una melodia musicalmente più soave per un’impostazione in tal senso più incisiva, idonea all’espressione del messaggio desiderato: insomma, una scelta encomiabile.

Lucio Dalla (L): Affermo innanzitutto che per me tutta la musica prodotta è frutto di ampia ispirazione, motivo per cui mi sento molto fortunato; del resto, sostengo di essere un personaggio, oltre che una persona, il cui orientamento vitale è stato indubbiamente rigoglioso. Per quanto concerne la tua domanda, ti dico che a me piace accostare all’ossatura musicale le immagini, creando un’intelaiatura complessiva capace di fornire una sensazione di leggerezza in colui che usufruisce dei miei testi. Di conseguenza, puoi desumere che la mia fama popolare scaturisce sì da uno sforzo consapevole, teso alla problematizzazione di temi alla luce della collettività, ma anche dalla provocazione comunicativa, dalla rinomata spontaneità poetica che da qualche parte deve pur provenire.

V: In merito alle composizioni di cui ti sei reso creatore e delle interviste da te precedentemente rilasciate, ti chiedo quanto pensi che le tue dichiarazioni, il tuo passaggio nel mondo della musica, come della politica e della sociologia, abbiano inciso sull’andamento generale del paese.

L: Ho cercato di imprimere la mia figura artistica in ogni gesto che ho compiuto e con quella semplicità caratteristica di chi non agisce per buonismo, ma per coerenza con la propria tempra morale. Mi sono scagliato con una certa veemenza verbale contro i talent show, sostenendo rappresentino una banalizzazione della musica, non un’adeguata settorializzazione della stessa, ma anche contro la televisione, quasi a richiamare la “dittatura del telecomando”, poiché la strumentalizzazione del mezzo televisivo rischia di ottundere le coscienze, di creare sfondi distopici. Ovviamente, la speranza è quella di scuotere l’opinione pubblica e a volte sembra di riuscirci, soprattutto quando noti un popolo che ti esalta, un momento della vita in cui riesci a ricevere quella benevolenza. Ma il rischio di una degenerazione dei costumi è nel seguito temporale di una civiltà, nelle tendenze che si profilano successivamente, cui si deve accostare la contezza di aver adoperato ogni metodo per inibire quella condizione: personalmente, ho rilasciato ogni tipo di testimonianza utile a tale scopo.

V: A questo punto, sorge una domanda per certi versi decisiva: ti chiedo, dopo una sommaria osservazione della storia che ci precede, quanto oggi possiamo essere pronti a renderci “padroni” dell’ineluttabilità del concetto, nonché prassi, di “determinismo storico”. Mi rendo conto del fatto che è una domanda a tratti parossistica, ma tu puoi recepire le ragioni di questo interrogativo, considerando alcuni tuoi testi, forse vicini a questa domanda, fra cui spicca “Com’è profondo il mare”.

L: La prima valutazione che mi sovviene riguarda il modo in cui ho avuto la fortuna di comporre il brano intitolato “Caruso”, perché obiettivamente la sua realizzazione è frutto di una casualità o di una provvidenziale coincidenza per la mia vita, se non anche per quella dei miei seguaci; una volta ho detto durante un’intervista rilasciata a Rai 2, circa il legame che ho con la Fede, che “ringrazio il cielo di darmi la possibilità di credere”. Vedi, il punto è interrogarsi sulle due consuete forme di determinismo, quale il positivo e il negativo. Ogniqualvolta ci focalizziamo sul determinismo positivo, non possiamo che essere lieti, giacché nessuno è inficiato; quando pensiamo a quello negativo, da cui qualcosa di positivo spesso deriva, allora lo sconforto si configura come la più immediata reazione. Tuttavia, il senso di una umanità non ferina nella sua intima condizione non ci è data a questo mondo, alla storia che ci accomuna. Oggi, però, una prospettiva diversa sembra possibile, e dico “sembra”. C’è tanta retorica fra giornali, la medesima televisione, piazze gremite di persone che enucleano un senso di pace fraterna simultaneamente all’esistenza di sentimenti di più acuta divisione, i quali serpeggiano fra le individualità. La sfida attuale è quella di cercare -sottolineiamo la delicatezza e l’immensità del tentativo- di essere il più possibile vigili rispetto alla propria circostanza vitale, alla propria direzione deterministica, talvolta non agevole, molto complicata, non semplice da conciliare con un’altra faccia dell’umanità che alcune situazioni della vita neppure li conosce. Allora, possiamo riassumere dicendo che certi discorsi non mutano in modo imminente il corso delle cose. Tuttavia, se nemmeno ne parliamo, forse rischiamo di non dare neppure quella flebile voce ad alcune urgenti tematiche.

V: A chiusura dell’intervista, le pongo una domanda relativa alle collaborazioni che ha intessuto con altri autori, fra cui Francesco De Gregori e Gianni Morandi e del suo mancato dialogo con Phil Collins, l’amicizia con Roberto Roversi : quanto pensa che tali presenze siano state indicative nel suo itinerario, se si pente di un’eventuale mancanza in termini di canzoni non stese.

L: Devo molto ai miei collaboratori, perché il loro contributo è il trionfo prima della musica italiana. Una volta, presso la trasmissione TV 2000, ho dichiarato che non posso ingannare il pubblico, perché è l’essenza del mio cammino artistico; e non esito ad asseverare la stima presso Francesco, Gianni, se non altro marcando la strettissima relazione con Roberto, fonte di carburazione ideologica per i miei testi: gli sarò legato per sempre.

Sull’incontro con Phil Collins, ti comunico che potrei essere amareggiato per non aver scambiato durante il mio viaggio a Berlino parole con lui, che forse avrei potuto ricevere idee per un’altra canzone, avviare un altro capitolo del mio viaggio nella musica. Ma, lo sai, sono un uomo fortunato!

Prima di lasciarti, ti riporto una frase che ho enunciato durante una breve intervista: “la libertà è difficile e fa soffrire”. Ad ogni modo, sappi districarti in quel gomitolo così articolato!

V: Grato per tutto, sommo Lucio!

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Vincenzo Pio Riccio
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