L’inno alla fragilità di Lucio Corsi

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“Volevo essere un duro che non gli importa del futuro, un robot, un lottatore di sumo, uno spaccino in fuga da un cane lupo alla stazione di Bolo, una gallina dalle uova d’oro”

Ricominciamo da qui, dalle parole sferzanti di un cantautore che esordisce sul palco di Sanremo promuovendo uno dei più significativi messaggi della modernità, aventi come elemento centrale la difficoltà di relazionarsi con un’impalcatura sociale rigida, rigida come è la durezza che Lucio millanta per impedire a sé stessi di patire la fragilità rispetto al sistema di riferimento.

La canzone del Corsi è un capolavoro sotto ogni punto di vista, sia esso testuale e associativamente musicale; lo si desume soprattutto dalle figure, dai simboli che costellano l’opera che si sta valutando. In tal senso, basti pensare all’uso di espressioni fra le quali annoverare “se faccio a botte le prendo, così mi truccano gli occhi di nero”, ove l’utilizzo del verbo “truccare” è icona incrollabile che attesta l’incapacità sociale di riuscire a vedere nell’altro una ferita, un dolore: ecco che il livido diventa il trucco degli occhi, quel trucco che allude anche ad un’ipotetica gogna mediatica quando purtroppo si parla di “uomini” in questa società.

“Ma non ho mai perso tempo: è lui che mi ha lasciato indietro”

È così, perché la condizione dei “diversi” è quella di credere talvolta che il tempo non sia stato adeguatamente sfruttato, giacché si avvia la vita in una condizione di inequivocabile svantaggio sociale, non per questo personale, delle proprie facoltà. Ma Lucio ci dice che è il tempo ad aver lasciato indietro certi uomini, aderendo giustamente a ciò che il senso della storia ha trasmesso.

“Vivere la vita è un gioco da ragazzi, me lo diceva mamma ed io cadevo giù dagli alberi; quanto è duro il mondo per quelli normali che hanno poco amore intorno o troppo sole negli occhiali”.

Siamo al punto di svolta del capolavoro del cantautore, a proposito del quale lui dimostra di saper snodare magistralmente l’intelaiatura del tessuto sociale di cui sopra si è detto, prima presentando la vita falsamente come “un gioco da ragazzi”, cui segue infatti il “cadere giù dagli alberi”; ed è il mondo ad essere duro per “quelli normali che hanno poco amore intorno o troppo sole negli occhiali”: un’affermazione perentoria, con la quale Lucio finge di contraddirsi, perché lui non vuole essere un duro, ma l’individuo “fragile”, come un paradigma umano che desidera essere riconosciuto nella sua interezza; da qui il motivo per il quale Lucio parla di “quelli normali”, negando l’uso dell’attributo “diversi” nel modo più consapevole, dal momento che è “responsabilità” di coloro che hanno “troppo sole negli occhiali”.

E non dimentichiamo mai che, come ha detto Vincenzo Salemme in “E fuori nevica”, “la differenza tra normalità e anormalità è soltanto un’invenzione del potere”; o un modo per incrinare solo più intensamente alla violenza, giacché al dispotismo si risponde con la più acuta ribellione, come accade in Joker (2019).

“I girasoli con gli occhiali mi hanno detto [stai attento alla luce] e che le lune senza buche sono fregature perché, in fondo, è inutile fuggire dalle tue paure”.

A corroborare e a concludere questa canzone è un’espressione non meno rilevante, attraverso la quale il cantautore dimostra di volersi tutelare dalla luce, non a caso quello stesso strumento di cecità emozionale del sociale, e lo fa adoperando i girasoli, fosse anche per proporre un’iperbole decisamente efficace; le lune sono fregature se non hanno le buche perché le vite dei social così perfette e senza alcun dettaglio riferibile alla propria fragilità non costituiscono altro che un modo per rafforzare il senso di impotenza rispetto ad un’idea (non un ideale) di società che instauri un rapporto fraterno col senso di empatia, nel riconoscere l’altro come simile.

Fra non molto tempo ricorre il giorno di nascita di Lucio Dalla, di cui Lucio Corsi si è detto ammiratore; e vogliamo lasciarvi così, dicendovi che “gli angeli sono milioni di milioni e non li vedi nei cieli ma tra gli uomini: sono i più poveri e i più soli, quelli presi tra le reti”.

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Vincenzo Pio Riccio
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