Quando non c’erano orsacchiotti.
Si racconta che Valentino fosse un vescovo vissuto sotto l’imperatore Claudio II. All’epoca Roma era impegnata in guerre continue e Claudio aveva vietato i matrimoni tra i giovani soldati, convinto che gli uomini sposati fossero meno inclini a combattere. Valentino, disobbediente, avrebbe celebrato matrimoni in segreto — e messo l’amore al di sopra della legge.
Quando l’imperatore scoprì le sue azioni, ordinò l’arresto di Valentino, che fu giustiziato il 14 febbraio del 269 d.C. Per ora, niente di romantico da segnalare. Dobbiamo aggiungere che, nell’Antica Roma, esisteva già una festa a ridosso di quello che oggi è il giorno di San Valentino: i Lupercalia. Questi riti pagani legati alla fertilità avevano un’ispirazione decisamente dionisiaca. I sacerdoti Luperci, per esempio, correvano nudi per le strade percuotendo goliardicamente le donne con strisce di pelle di pecora chiamate februa (è proprio da qui che deriva febbraio). Ancora niente di romantico.
La sovrascrizione di una festa.
Con l’avvento del Cristianesimo, com’è accaduto per altre feste, si è cercato di sovrascrivere riti pagani con celebrazioni dotate di un più alto “senso morale”. Fu Papa Gelasio I, nel 496 d.C., a rendere ufficiale la festa di San Valentino, impiegando la narrativa secondo la quale Valentino si innamorò della figlia cieca del suo carceriere e, poco prima di morire, le scrisse un biglietto firmato “dal tuo Valentino”.
L’avvento del consumismo sentimentale.
Non ci è voluto molto per arrivare allo tsunami di cioccolatini, orsacchiotti e gioielli.
Il consumismo sentimentale è un fenomeno in cui le emozioni, soprattutto quelle legate direttamente ad amore e relazioni sentimentali, vengono usate come leva per indurre all’acquisto di beni o servizi in occasione (per esempio) di San Valentino.
Oltre a produrre un indotto economico, il consumismo sentimentale ha attaccato ai doni un’etichetta implicita che deteriora la festa privandola di spontaneità, ammesso che esistesse in prima battuta.
La piaga endemica della mimesi di appropriazione.
Il fenomeno del consumismo sentimentale non si limita alle superficiali strategie di marketing, ma vede le sue radici affondare nella psiche umana. René Girard (1923-2015), antropologo e filosofo di scienze sociali, ha approfondito le dinamiche che sottintendono il desiderio. Girard sostiene che il desiderio non colonizza l’essere umano spontaneamente, ma affiora per emersione come frutto della mediazione di un modello. È raro, se non impossibile, che un soggetto desideri direttamente un oggetto per le sue qualità: accade invece perché un altro soggetto (che può essere anche la società) suggerisce in modo più o meno implicito che quell’oggetto è degno di essere desiderato. A quel punto il soggetto accresce il suo valore nel desiderare un oggetto il cui valore è stato stimato come alto. Si arriva alla competizione, ma in modo non plateale. Nessuno la ammette. Girard identifica questo meccanismo come rivalità mimetica, che origina dalla mimesi di appropriazione: apparentemente, un soggetto entra in competizione con un altro per il possesso dell’oggetto. In realtà compete per il prestigio o il valore che possedere quell’oggetto gli conferisce, non per l’oggetto in sé.
Se caliamo questa dinamica nel contesto di San Valentino, possiamo figurarci un innamorato che desidera un gesto romantico eclatante perché i media hanno reso il dono desiderabile, così come il comportamento che lo sottintende. La macchina lavora a pieno regime, tanto da arrivare a mettere in discussione l’amore nel caso in cui il gesto romantico non arrivi. Non si tratta quindi di un surplus che si aggiunge ad altri linguaggi d’amore, ma di una dimostrazione necessaria per avere la conferma di un rapporto sano. Che sano non è, sicuramente non per questo. Eppure, l’intossicazione pseudo-romantica non si ferma qui.

Fino a questo momento abbiamo analizzato una dinamica semplice in cui soggetto, oggetto e mediatore fanno rimbalzare la palla del desiderio all’interno di un rito codificato che riproduce un modello socialmente riconosciuto di affetto. Proviamo a teorizzare l’entrata in scena di un nuovo agente: il Riflettore Sociale.
Se prima dei social network il consumismo aveva fissato il gesto romantico come necessario per una conferma “interna” alla relazione, il Riflettore Sociale impone un continuo rilancio per dare un segnale di superiorità al pubblico digitale. Ecco il destino della scatola di cioccolatini: da dono spontaneo è diventata un gesto necessario. Da tappa imprescindibile è diventata insufficiente per soddisfare il famelico riflettore sociale: si è trasformata in un anellino, poi in un weekend in una SPA, poi in un anello regalato durante il weekend in una SPA e chi più ne ha, più ne metta. Il tutto con la necessità di telecamere a riprendere, dita pronte a condividere. Il quarto elemento non è soltanto un amplificatore passivo, ma deforma il triangolo del desiderio girardiano in un più contemporaneo quadrilatero nel quale gli indicatori chiave di performance (KPI in marketingese, NdR) non misurano più il sentimento, bensì la capacità di esibirlo. Un quadro degno della peggiore fiera delle vanità.
Si stava meglio quando si stava peggio?
La riprova sociale esisteva anche prima: se tutti regalavano fiori, gioielli, cene, weekend romantici, si alterava la percezione e si faceva credere che quello fosse il modo corretto (l’unico?) di vivere e manifestare l’amore. Ciò ha generato (e genera) una pressione sociale che spinge le persone a conformarsi, instillando in loro la paura che l’assenza di gesti eclatanti possa essere vista come mancanza di amore o impegno. Chi non partecipa, rischia di venire etichettato, anche all’interno della coppia, come “insensibile”. Il risultato è una pressione latente che trasforma le relazioni in una corsa a ostacoli, alimentando un senso di ansia da prestazione sentimentale che si è radicata nel tempo e ci ha raggiunti.
Desiderio mimetico fra status e atti performativi.
Girard spiega che il desiderio mimetico porta inevitabilmente a conflitto e competizione, perché più persone desiderano lo stesso oggetto o status, più aumenta la rivalità. Le coppie entrano in una sorta di competizione implicita su chi riesce a esprimere meglio il proprio amore attraverso doni particolari.
I social media amplificano questa dinamica: vedere una coppia celebrare San Valentino con un viaggio di lusso può far sentire altre coppie inadeguate, spingendole a fare di più per dimostrare il loro valore relazionale.
Il desiderio mimetico rende l’amore stesso un campo di gioco competitivo, dove il valore della relazione viene legato alla grandezza (o forse dovremmo dire alla grandiosità) del “gesto romantico”. Girard osserva che, nella competizione mimetica, l’oggetto (in questo caso, l’amore sincero) diventa secondario rispetto al desiderio di superare gli altri. Le persone rischiano di dimenticare il valore autentico dell’amore e finiscono per focalizzarsi sul modo in cui la relazione appare all’esterno. Le coppie che entrano in una spirale di processi imitativi e competizione per dimostrare il proprio valore attraverso il consumo sono inclini a spendere sempre di più.
A San Faustino non va meglio.
Mentre il 14 febbraio è la festa del desiderio triangolare (ora quadrilatero, se si accetta l’entrata in scena del Riflettore Sociale), il giorno seguente può essere letto come il rifiuto del modello dominante. 15 febbraio, San Faustino,è la festa dei single che lucra su nevrosi solitarie e ipotesi di alienazione. Lo scriveva Sartre, lo predica Žižek: “se lo si contrasta, si fa il suo giuoco, perché vive dei suoi contrari”. Come dire che la ribellione opposta a San Valentino fa ugualmente sfrigolare di piacere il portafoglio delle aziende procurando svariati orgasmi ai direttori marketing.
Chi festeggia l’orgoglio single lo fa per sé o per contrapporsi all’ideale dominante di coppia?
Se San Valentino rappresenta l’escalation del desiderio performativo di relazione, San Faustino rischia di diventare la performance della non-coppia, un ritratto iperbolizzato e grottesco dell’impiego della propria libertà.
Una via d’uscita?
Forse il modo migliore per distruggere dall’interno un sistema perverso non è quello di contrastarlo con forza anti-dogmatica o ribaltarlo (per poi rischiare di asservirsi al suo opposto), ma più semplicemente togliere potere alla macchina che vive di visibilità. Se proprio vogliamo festeggiare, facciamolo senza imbastire uno spettacolo con il solo scopo di ingolosire il pubblico validando il nostro status. Certo, la competizione mimetica è insaziabile: più desideriamo come gli altri e più ci troviamo trafelati in una corsa senza fine.
San Valentino e San Faustino sono due facce della stessa medaglia, entrambe alimentate dalla competizione mimetica, entrambe esistenti in funzione dell’apparire. Una medaglia che, anche quando la si vince, non è un premio per nessuno. Meno competizione, meno performance, più intimità. Che ci sia qualcuno con cui condividerla o che la migliore relazione sia con noi stessi, poco importa. Lasciamo che la macchina giri a vuoto fino a consumarsi da sola.