Quella che segue è un'”intervista impossibile” con Giuseppe Ungaretti con cui si cerca di ripercorrere il pensiero del grande poeta italiano del Novecento.
Vincenzo (V): Ungaretti, salve! Sono lieto di intervistarla, di conoscere la sua poesia e la sua intima spiritualità.
Giuseppe Ungaretti (U): Bene! Esponga tutte le curiosità che la ispirano.
V: Ritengo doveroso dichiarare che sono affascinato dal contenuto di una sua opera, ovvero “L’Allegria”, perché appare evidente che, in essa, lei contempla la poesia come strumento in grado di rivelare il mistero della vita; e altrettanto seducente è la soluzione formale che propone, dal momento che, stando alle sue istanze, il vocabolo poetico ha la facoltà di “illuminare” la prospettiva dello scrittore e consentirgli di carpire ciò che è oltre la contingenza: mi parli di tale peculiarità.
U: Per compenetrarsi con questa determinata fase della mia poetica, occorre che si valuti un confronto che ho avuto con la letteratura che mi precede. A tal proposito, ho rivolto la mia attenzione verso tre autori in particolare, che sono Mallarmé, Petrarca e Leopardi; con loro condivido l’idea che la poesia debba contenere un segreto da svelare, che la poesia debba cogliere l’essenza che sta al di là del visibile; e mi sono posto in antitesi con gli intellettuali ottocenteschi, i quali preferivano scardinare la realtà mediante un graduale procedimento logico: io confido nell’intuizione fulminante, la cosiddetta “illuminazione” appunto, la quale riduce la distanza tra il mondo della realtà storica e il mondo di un’entità superiore che sveli il senso delle cose. Per concretare testualmente quanto ho detto, mi sono avvalso dell’analogia, mezzo espressivo che crea il desiderato connubio tra sintesi dell’elaborato presentato e l’alone imperscrutabile dei concetti dipanati: “Mattina” è spesso assunta come poesia simbolo di questa tendenza. Tuttavia, non voglio che le mie pubblicazioni siano osservate come il risultato di fugaci adesioni alle teorie avanzate dalle dotte figure che mi hanno preceduto, ma che siano visionate come comunione di questo sentire e di una singolare vicissitudine biografica. Infatti, certi episodi della mia vita sono stati decisivi per la produzione dei miei libri: mi riferisco all’esperienza della Prima Guerra Mondiale, durante la quale ho percepito il dramma, la desolazione, la paura di tutti noi che combattevamo e devo ammettere che avevo riposto molte speranze, avevo intravisto delle opportunità nel conflitto, ero stato un convinto interventista; poi, ho vissuto l’atrocità dei suoi effetti e ho pensato che una condizione esistenziale così scarnificata, essenziale come “le pietre del Carso”, potesse essere denudata soltanto attraverso i “versicoli”, che spesso coincidono con una sola parola, spoglia e arida come il dolore avvertito da me in guerra; ed è il motivo di altri aspetti inerenti il depauperamento dei miei scritti, tra cui l’abolizione delle rime, il rilievo concesso a parole prive di pregnanza semantica, come articoli, preposizioni e congiunzioni. In più, mentre affrontavo il suddetto periodo in trincea, ho riflettuto su un’immagine alla quale imputo la responsabilità di aver segnato la mia concezione poetica: il Porto Sepolto. Quando ero giovane, infatti, fu scoperto un porto nei pressi di Alessandria d’Egitto; ma non si sa nulla del porto in quanto tale. Allora, poiché questa notizia ne costituisce la fonte, ho comparato la nascosta origine del porto al mistero che racchiude la vita: il poeta, in qualità di profeta, ha lo scopo di svelarlo attraverso la parola “isolata”, “rivelatrice”.
V: In una fase successiva della sua attività di scrittore, però, il registro formale è stato soggetto ad un notevole cambiamento, dal momento che il “verso spezzato” ha lasciato spazio alla metrica tradizionale e a definite strutture sintattiche: come motiva tale svolta?
U: A seguito della guerra, ho vissuto un vero e proprio “ritorno all’ordine”. Questa modificazione del mio stile e del mio immaginario si deve all’emergere di un nuovo clima culturale, avvenuto alla fine della mia esperienza bellica e in occasione del mio accostamento ai valori cristiani, compiutosi nel 1928. Inoltre, ho avuto modo di rileggere appassionatamente Leopardi e Petrarca, riscoprendo una sintassi più articolata e accettando di utilizzare gli endecasillabi e i settenari. In altre parole, se in un primo stadio ho previlegiato la parola isolata, nella fase successiva ho avvertito un impetuoso richiamo verso “il canto della lingua italiana nella costanza dei secoli”. Se non mi fossi cimentato nella stesura di scritti che restituissero dignità agli intellettuali che hanno nobilitato la nostra lingua, me ne sarei presumibilmente pentito: era per me essenziale “sentire il battito del mio cuore in armonia con i maggiori di una terra disperatamente amata” e pormi come continuatore di cotanta bellezza.
V: In una sua opera, “Sentimento del tempo”, lei ha sviluppato nuovamente il tema inerente il rapporto tra la finitezza dell’uomo e il senso dell’assoluto. Tuttavia, si percepiscono differenze considerevoli rispetto a “L’Allegria”, dal momento che compaiono argomenti non trattati in precedenza, tra cui si annovera la metamorfosi della natura, la sensibilità barocca, ma soprattutto una singolare concezione del tempo. La ragione di tali novità, a quanto pare, è attribuibile allo sfondo della città di Roma, che ha tatto la sua anima e l’ha indotta ad articolare le tematiche prima menzionate: com’è accaduto tutto questo?
U: Roma è il luogo della memoria, il sito che mi ha permesso di cogliere il tempo come “durata”. Internamente all’opera, ho detto che ci sono tre momenti che hanno scandito il mio modo di sentire il tempo: nel primo, identificavo il tempo come profondità storica; nel secondo, ho meditato sul destino dell’uomo in relazione con l’eterno; nel terzo, ho ragionato sulla senilità che incombeva su di me. Lo scenario in cui si è adempiuto il primo meccanismo del sentimento del tempo interessa la capitale, infatti luogo della memoria storica, perché là puoi scoprire il ricordo degli antichi splendori grazie alle testimonianze fornite dagli edifici sparsi. Ma, al tempo stesso, si usura anche il secondo momento descritto. Non a caso, quando contempli un monumento mastodontico antico, non puoi che soffermarti sulla riflessione secondo la quale lo scorrere del tempo non risparmia nulla e tende a demolire anche le civiltà più illustri. Se osservassi la sfarzosità barocca, che ho anche tradotto nella versificazione mediante amplificazioni semantiche, ammireresti l’imponenza, la ridondanza dei capolavori e quella gradevole luminosità che li esalta. Però, realizzando che il tempo tutto oblia, allora sei pervaso da un senso di vuoto, perché comprendi che quella fastosità è irrilevante dinanzi all’eternità; acquisti consapevolezza circa la distanza che c’è tra noi e Dio. Invero, carpisci che Dio consente la creazione di simili meraviglie, ma non eludi che le sue creature avvertono il fardello della mortalità.
L’ultima parte dell’opera, poi, è relativa alla mia avanzante vecchiaia, che ha costituito il compendio del concetto concernente lo scontro tra caducità e perennità: ho sancito irrimediabilmente il trionfo della seconda sulla prima, dal momento che ne ho sperimentato gli effetti sulla mia stessa pelle. Di fronte a questo scenario, l’arte di poetare rappresenta il solo antidoto a cui riferirsi, affinché ci si possa porre in armonia con il mondo.
V: “Il dolore” è una delle sue ultime raccolte. In questa sistemazione poetica, la componente autobiografica risulta lampante: lei narra la tribolante vicenda che interessa la morte di suo figlio di soli nove anni, ma discute anche delle angosce provocate dalla Seconda Guerra Mondiale. A questo proposito, riguardo ad una delle sue emblematiche realizzazioni, quale “Non Gridate più”, Guido Baldi ha proferito che “il testo si apre verso gli altri, sottolineando il passaggio dal registro personale al registro della storia. La forza degli imperativi non è quella del comando, ma quella di una preghiera, insieme vibrata e dolente, che invita gli uomini a salvare la loro stessa umanità, riscoprendo i valori della solidarietà e della pietà. Attraverso un uso particolare dell’adynaton (uccidere i morti) il poeta chiede di superare gli odi e le divisioni di parte, che ancora insanguinano la vita politica e civile italiana. Il sacrificio dei caduti è stato così inutile. Ben diversa è la lezione che possono trasmettere, e riguarda la possibilità stessa di salvare e continuare la vita. Ma bisogna raccogliersi in silenzio per poter ascoltare la loro voce, l’impercettibile sussurro”.
Come commenta il parere del critico letterario?
U: In ogni mia opera è possibile rintracciare note che afferiscono alla mia vita e credo che la contezza della miseria dell’esistenza umana sia stata da me suggerita ripetutamente: ho espresso che l’uomo è creatura generata dal dolore e destinata a vivere nel dolore; ma l’ho inteso come un male da cui sarebbe nata una possibilità essenziale per la vita dell’uomo, quale quella di riscoprirsi come frammento dell’immenso, che è gioia e purezza. Eppure, la mia preparazione nei confronti dell’esistenza non era evidentemente sufficiente, perché non avrei mai immaginato che essa mi avrebbe usurpato gli affetti più cari, ossia mio fratello e mio figlio. Perciò, le parole che hanno caratterizzato la parentesi ottimistica della mia letteratura sono state vanificate dall’incombere di questi eventi: e così, ho dato voce al mio strazio più profondo.
Per quanto concerne il testo “Non gridate più” e il parere critico di Guido Baldi, approvo solennemente il messaggio che egli diffonde, focalizzandomi soprattutto sulla violenza delle parole, che, se non frenate, hanno l’ignobile potere di profanare le tombe di chi ha sacrificato la propria vita: uccidere i morti equivarrebbe, in questo caso, a rimuovere la memoria storica di un paese, atto d’inaudita gravità.
V: La ringrazio per aver denudato il suo finissimo animo: dalle risposte che mi ha fornito, deduco che lei è un poeta di elevatissima spiritualità, che riesce a trasmettere in ogni tematica scandagliata, evidenza suggerita dal fatto che lei, ne “L’Allegria”, considera la poesia come un segreto da comunicare; nel “Sentimento del tempo” il fatto che avverte profondamente la distanza tra l’essere umano e l’apparato divino; ne “Il dolore” essa trapela con il riferimento alla dignità che la memoria di un uomo deve detenere, affinché questo non sia ucciso una seconda volta.
Grazie!