L’irriverenza sessantottina e l’eleganza interpretativa in Patty Pravo

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Calata in un contesto prospero della musica – gli anni ‘60 reduci dalla rivoluzione musicale adoperata da Modugno – esordisce nel 1966 la veneziana Nicoletta Strambelli, in arte Patty Pravo. Irrompe insieme a lei la musica pop con la sua “Ragazzo triste”, incredibile successo radiofonico. Il brano, firmato da Gianni Boncompagni (importante paroliere – non a caso, come vedremo – per Raffaella Carrà), si rivela perfettamente collocato storicamente e coerentemente con quegli anni tanto particolari. Quasi in odor di previsione, il testo anticipa e precorre il fatale anno del ’68, dei moti rivoluzionari socioculturali che hanno investito il ‘900 italiano. Patty Pravo accoglie e interpreta il testo di Boncompagni, allineandosi con quell’atmosfera di cambiamento e di solidale adesione alla realtà giovanile:

“Ragazzo triste, sono uguale a te/ A volte piango e non so perché/ Tanti son soli come me e te/ Ma un giorno spero cambierà/ Nessuno può star solo, non deve stare solo/ Quando si è giovani così/ Dobbiamo stare insieme, parlare tra di noi/ Scoprire insieme il mondo che ci ospiterà”.

Dall’album “Patty Pravo”, “Ragazzo triste”, 1968.

Nato come cover di “But you’re mine” di Sonny Bono, “Ragazzo triste” non solo impianta quel diffuso sentimento di malessere, solitudine e inquietudine che gli anni 60 incarnavano, ma induce il senso di unione, comunata partecipazione al sociale (“Nessuno può star solo […] dobbiamo stare insieme”). L’apertura verso il futuro, verso una realtà diversa e ristrutturata non è una mera utopistica speranza, ma una concreta possibilità che già sembra – da questo brano – prefigurarsi, in un giovanile slancio verso la curiosità del cambiamento (“Scoprire il mondo che ci ospiterà”). Persino censurato è stato quest’ultimo verso, perché considerato troppo trasgressivo, secondo i canoni dell’epoca.

A sostegno di questa dimensione attiva, nel ‘67 Pravo raggiunge le vette della celebrità con “Qui e là”. Il brano, in perfetta natura anni ‘60, come il precedente, associa il testo di Aina Diversi, alla musica di “Holy cow” del compositore Allen Richard Toussaint. Con un testo ancora più evoluto del precedente:

Ho deciso/ Di restare con te/ Ma ecco che tu/ Ecco che/ Mi hai preso/ Tutta per te/ E fra un po’ io non/ Respirerò più/ Oggi qui/ Domani là/ Mi piace andare così/ Senza freni/ Vado e vivo così/ Qui e là/ Io amo la libertà/ E nessuno/ Me la toglierà mai”.

                                                                                                     -Dall’album “Patty Pravo”, “Qui e là”, 1968.

Più elementi sono di interesse. Già si notano tracce circa l’emancipazione della donna (“Mi hai preso/ Tutta per te/ E fra un po’ io non/ Respirerò più”). Ma più risonante nel brano è l’inno alla libertà, vista come valore assoluto a cui fare riferimento, a cui richiamarsi per evitare stantie e statiche fissazioni consuetudinali. Il vivere senza freni, andando “qui e là”, “oggi e domani”, diventa l’indole giovanile di riferimento, il respingere le barriere sociali che a volte bloccano in gabbie asfissianti: temi questi non scontati in quel periodo. Basti pensare allo scalpore del brano di Nilla Pizzi, “L’edera” del 1958, controversa per il verso “Son qui tra le tue braccia ancor/ avvinta come l’edera/ son qui respiro il tuo respiro”.

Patty Pravo proprio nel ’68 – forse casualmente – inciderà un brano emblematico, non solo per la sua carriera o per la musica italiana in generale, ma soprattutto per l’emancipazione poc’anzi presentata. È de “La bambola” di cui si vogliono analizzare le sfaccettature, brano firmato dal compianto Franco Migliacci (autore, tra gli altri, di “Nel blu dipinto di blu” di Modugno), e musicato da Ruggero Cini e Bruno Zambrini:

“Tu mi fai girar, tu mi fai girar/ Come fossi una bambola/ Poi mi butti giù, poi mi butti giù/ Come fossi una bambola/ Non ti accorgi quando piango/ Quando sono triste e stanca, tu pensi solo per te/ No ragazzo, no, no ragazzo, no/ Del mio amore non ridere/ Non ci gioco più quando giochi tu/ Sai far male da piangere”.         

                                                                            -Dall’album “Patty Pravo”, “La bambola”, 1968.

Questo è il terzo dei brani confluiti nell’album “Patty Pravo” che cavalca le onde di un tempo di rivoluzioni radicali, con cui sono cambiati gli assetti convenzionali e sociali dell’epoca. La trasfigurazione in una bambola immedesima la cantante in una condizione universalmente simboleggiante. Il fantoccio, difatti, cristallizza la donna in una dimensione quasi oggettificata, nelle mani di un ragazzo che la manipola (“Tu mi fai girar […] poi mi butti giù”). L’amore viene quindi sminuito in forza dell’egoità, a tratti, patriarcale che ha dominato quei decenni. E la bambola diventa espediente di un mero collezionismo, di cui la protagonista del brano diventa “una tra le tante”, di un gioco di cattivo gusto che non ne riconosce la dignità (Non ti accorgi quando piango/ Quando sono triste e stanca, tu pensi solo per te”).  La forza del brano, canalizzata dalla Pravo, alla luce della sessantottina energia rilevata nel suo percorso artistico, è nel coraggio di liberarsi da queste catene soggioganti fino a quel momento adottate:

“Da stasera la mia vita/ Nelle mani di un ragazzo, no, non la metterò più/ No ragazzo, no/ tu non mi metterai/ Tra le dieci bambole/ Che non ti piacciono più/ Oh no, oh no”.

La capacità di spezzare ogni dinamica di assoggettamento all’uomo, e quindi di poter decidere per sé, è una delle prime corroborazioni della emancipazione femminile, di cui Patty Pravo è stata, musicalmente, tra le principali promotrici. Si ricordano, ad esempio, anche i casi di Caterina Caselli o Rosanna Fratello (la quale colpì la società degli anni ’70 con la divisiva “Sono una donna non sono una santa”), che contribuirono all’affermazione di questo processo. Altro nome decisivo è stato quello della succitata Raffaella Carrà, che riuscì a scardinare i parametri dei varietà televisivi, diventando icona della lotta alla libertà e dei diritti civili, oltre che femminili.

Dal ‘68, con il primo album che abbiamo visto avere interessanti punti di contatto con la rivoluzione sessantottina, Patty Pravo si configura una delle più influenti interpreti italiane. Non sono mancati successi assoluti, di cui si citano: “Il paradiso”, “Se perdo te”, “Tutt’al più”, “La spada nel cuore”. Tutti brani, perlopiù d’amore, diventati pilastri del panorama musicale nazionale.

Tra questi, fin dalle basi costituite negli anni ‘60, la ragazza del Piper (questo il suo soprannome, conferitole per l’assidua frequentazione della discoteca romana Piper club) si distinguerà per brani di una sensualità, a tratti erotica, spinta ma delicata allo stesso tempo.

Ed è in forza a quella partecipazione sociale che verteranno alcune delle canzoni che maggiormente si distinguono tra i brani-emblemi poc’anzi citati. In particolare, il suo erotismo vocale viene avvolto dallo smentito pudore sessuale che avvinghiava le donne, contro cui Patty Pravo ha contrapposto la piena libertà. Si ricordano anche le sue dichiarazioni a favore dell’aborto e del divorzio. Esempio lampante di tale affermazione libertaria è il brano del ’73, composto da Giovanni Ullu e Maurizio Monti, “Pazza idea”:

Io stasera insieme ad un altro/ e tu sarai forse a ridere di me/ della mia gelosia che non passa più, / ormai non passa più. / Pazza idea di far l’amore con lui/ pensando di stare ancora insieme a te!/ Folle folle folle idea di averti qui/ mentre chiudo gli occhi e sono tua”

                                                                                     -Dall’omonimo album, “Pazza idea”, 1973.

Il tema dell’irrefrenabilità della fantasia, o meglio della “pazzia”, in ambito d’amore, consiste nel pensare ad un altro pur facendo parte di una relazione già avviata. Questo è forse uno dei primissimi brani a scardinare, con la summenzionata Rosanna Fratello, regole e convinzioni che sono state ribaltate e sovvertite.

Patty Pravo, fin dai suoi esordi è diventata ambitissima tra i compositori e i parolieri, i quali desideravano consegnarle le loro composizioni. Tra i massimi cantautori che le hanno tessuto un brano su misura si ricorda soprattutto Ivano Fossati; ben delineato come autore eversivo, è stato spesso “sarto” musicale per voci femminili quali, tra le altre, Anna Oxa (a cui scrisse “Un’emozione da poco”), Mia Martini (per cui compose “E non finisce mica il cielo”), Loredana Bertè e Mina. Ben avvezzo alla sensibilità femminile, con grande potenza espressiva e capacità d’immedesimazioni fuori dalla norma autorale, ha composto brani che rivalutassero dirompentemente la figura femminile in un periodo, gli anni ’70, che stava, principiando dai movimenti sessantottini, già svoltando pagina.

A Patty Pravo, in particolare, consegna un brano considerabile perfetta sintesi di quest’excursus finora presentato. Un amore a tre, spiegato con il massimo della raffinatezza, che più si addice ad una grande interprete quale lei è:

“Pensiero stupendo/ Nasce un poco strisciando/ Si potrebbe trattare di bisogno d’amore/ Meglio non dire/ Prima o poi/ Poteva accadere, sai/ Si può scivolare, se così si può dire/ Questione di cuore”.

-Dall’album “Miss Italia”, “Pensiero stupendo”, 1978.

Il prosieguo artistico va via via incrementandosi nel corso dei decenni, riuscendo sempre a lasciare un segno indelebile che la contraddistinguesse. Di importante rilevanza si ricorda il brano presentato al festival di Sanremo 1997, scrittole da Gaetano Curreri degli Stadio e da Vasco Rossi, “…E dimmi che non vuoi morire” (“La cambio io la vita che/ Che mi ha deluso più di te/ Portami al mare, fammi sognare/ E dimmi che non vuoi morire”), conquistando il premio per la critica “Mia Martini”. Non è stato l’unico di cui è stata insignita. Difatti, lo vinse nel 1984 con “Per una bambola” – una sorta di sequel de “La bambola” – e nel 2016, in cui magistralmente indossò il brano regalatole da Fortunato Zampaglione, “Cieli immensi”, dimostrando la magistralità di una carriera vissuta.

Compie gli anni oggi una delle interpreti più riconosciute del panorama musicale, distinta da un puro bovarismo di cui fa eco la canzone “Emma Bovary” – consegnatole da Manlio Sgalambro e Franco Battiato – attestazione di un compiuto passo nel cammino “fatale” verso l’emancipazione femminile. Una “minaccia bionda” (come recita il suo ultimo tour compiuto negli scorsi anni) che ha attraversato la storia musicale italiana incarnando una irriverenza elegante, che da spirito ribelle e sessantottino l’ha resa una delle più grandi Signore della musica italiana.

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