È primavera, sono in macchina e rientro da una giornata di lavoro come tante. Sento in radio la canzone di Madame “L’eccezione” e inizio a canticchiare mentre guido, fino a quando mi soffermo su una frase: “non ho più paura del buio di questa città”.
Mentre continuo a guidare, nella mia mente parte una riflessione (anche se so essere scollegata dal significato e dalla storia della canzone): sarebbe bello poter dire questa frase, ma io ho paura del buio della città in cui vivo. Ho paura della città in cui vivo, di tornare tardi la sera a piedi, quando parcheggio la macchina un po’ distante da casa. Ho paura dei passi che sento dietro di me quando cammino e non metto mai le cuffiette perché mi impedirebbero, eventualmente, di sentire quei passi.
Sono consapevole che la canzone non c’entra assolutamente niente con i miei pensieri, ma ormai la mia mente è partita e non riesco più a fermarla. Così, inizio a riflettere sul fatto che non sentire paura è un privilegio.
Ieri, 25 novembre 2023, a Roma, si è svolta la manifestazione organizzata da Non una di meno, per la giornata internazionale contro la violenza di genere. Erano presenti circa 500.000 persone a gridare, a riprendersi gli spazi, a riprendersi il potere.
La rabbia di una è la rabbia di tutte.
Non sono l’unica a sentirsi stanca. Sono stanca di dover spiegare la matrice della violenza di genere, una violenza sistemica e culturale. Sono stanca di dover spiegare che la battuta sessista o il catcalling non sono azioni dettate da spirito goliardico, ma sono alla base della cultura dello stupro. Sono stanca, ma continuerò a farlo perché è necessario far sentire le nostre voci e raccontare le nostre storie.
Perché non vogliamo più avere paura, sentirci coraggiose e girare con le chiavi in mano perché non si sa mai. Non vogliamo più dover pensare di comprare uno spray al peperoncino per quando camminiamo da sole, di notte o di giorno.
Vogliamo sentirci libere e ci vogliamo vive.
Di tutte le cose che le donne possono fare nel mondo, parlare è ancora considerata la più sovversiva
È una citazione di Michela Murgia che mi torna spesso in mente. Ecco, dovreste smetterla di dirci quando parlare, cosa dire, che emozioni provare e quando doverle provare, di dirci cosa possiamo indossare e cosa possiamo bere, con chi uscire e con chi parlare.
Ciò che è necessario è che gli uomini riconoscano i loro privilegi e se è vero che “non tutti gli uomini”, coloro che non si sentono parte di questa categoria non sprechino le loro energie a mettersi sulla difensiva, ma riconoscano che cambiare le cose è anche responsabilità loro e impieghino quell’energia per farlo. Non serve mettersi sulla difensiva, serve un’alleanza; è necessario che diciate qualcosa a quell’amico che pubblica le foto intime della ragazza sul gruppo di calcetto, che diciate qualcosa a quell’amico geloso e possessivo o a quell’altro che fa una battuta a sfondo sessuale alla collega. Serve che denunciate un’azione che rientra nei canoni della violenza di genere.
È necessario che prendiate posizione, che vi mettiate vicino a noi nei cortei a lottare per cambiare il sistema (che è nocivo anche per voi), perché siamo stanche di farlo da sole. Il patriarcato ha tante facce, spacchiamole tutte, e facciamolo insieme.
Sono anche arrabbiata, perché questa rabbia che la società violenta e patriarcale ci fa scaturire dentro la usiamo ogni giorno per sopravvivere. Perché sì, ogni giorno ringraziamo di essere vive e ogni giorno usiamo la rabbia e l’energia che abbiamo per cambiare il sistema. Il 25 novembre è sempre stato un giorno difficile per me, odio dover vedere pubblicità in tv e post social di facciata. Perché tutti i giorni dovremmo scendere in piazza a gridare, perché non lo si può fare solo il 25 novembre e il giorno dopo dimenticarsi di tutto, per indignarsi di nuovo all’ennesima notizia di femminicidio. È una vita che siamo indignate.
Ogni giorno dovrebbe essere il 25 novembre, ogni giorno dovremmo poterci sentire libere di occupare gli spazi pubblici, libere di parlare e di gridare, anche per chi non può più farlo.
Dottoressa in Giurisprudenza, abilitata alla professione forense, con un Master in Studi e Politiche di Genere. È un'attivista digitale, crea contenuti legali per Chayn Italia, una piattaforma che si occupa di contrastare la violenza di genere utilizzando strumenti digitali, ed è membro della Redazione de Il ControVerso. Scrive su attualità, diritti umani, privacy e digitale, inclusione, gender gap, violenza di genere.
Attualmente lavora nel settore dell'editoria libraria.