È del primo febbraio 1945 il decreto legislativo che estese alle donne il diritto di voto, esercitato per la prima volta nelle amministrative della primavera del 1946.
Il diritto di voto, insieme a quello di libertà, di autodeterminazione, di parità salariale fra uomini e donne, sono alcuni dei diritti che Paola Cortellesi, nel suo film “C’è ancora domani”, ci racconta. C’è bisogno, un forte bisogno, di porre in essere narrazioni che ci ricordino come questi diritti non possono essere dati per scontati, ma sono costantemente da difendere, tutelare e mantenere.
In una Roma postbellica, Delia (Paola Cortellesi) è una donna che svolge quotidianamente compiti di cura quali pulire la casa, preparare da mangiare e accudire il marito Ivano (Valerio Mastandrea), i tre figli e il suocero (Giorgio Colangeli). Ma ciò non basta; Delia, come le ricorda il marito, deve anche “combinare qualcosa” e aiutare economicamente la famiglia; infatti, ogni mattina corre da una parte all’altra della città per rammendare biancheria, aggiustare ombrelli, stendere lenzuola e fare punture a domicilio. Il tutto con una retribuzione inferiore rispetto a quella che avrebbe se fosse un uomo, tanto da ritrovarsi a insegnare il mestiere di riparare ombrelli ad un ragazzo più giovane, inesperto, che però guadagna più di lei e, alla sua perplessità, sentirsi rispondere: “eh ma quello è n’omo”.
Il tema della parità salariale non è l’unico trattato; nel contesto familiare Delia è una persona quotidianamente umiliata e maltrattata dal marito. Ha il difetto di non stare mai zitta, come sottolinea il suocero, di sbagliare qualsiasi cosa e non essere “manco brava a fare la serva”, come le ricorda il marito. Tali violenze domestiche avvengono sotto gli occhi dei figli, due ragazzi e una figlia adolescente, la quale accusa la madre di rimanere in quella situazione e non fare nulla per opporsi al comportamento del padre.
Paola Cortellesi dà voce a molte storie che tuttora rimangono in silenzio e che vengono normalizzate.
Il film è un appello a non rimanere in questo silenzio, a non guardare, a impegnare ogni giorno un po’ di energia per far sì che il sistema culturale e sistemico in cui ci troviamo cambi, a far sì che gli uomini si assumano la propria responsabilità di contribuire a questo cambiamento e si distacchino dal retaggio patriarcale.
Delia, passiva agli occhi della figlia Marcella (Romana Maggiora Vergano), inizia a prendere una serie di decisioni, spinta soprattutto dall’amore per la figlia e dal desiderio che lei abbia un futuro migliore del suo. Alcuni avvenimenti fanno sì che la stessa prenda delle decisioni che andranno ad incidere in primo luogo sul suo riscatto personale e che, in secondo luogo, rappresenteranno un modello a cui aspirare per Marcella, finalmente orgogliosa della madre.
Compra una stoffa nuova e si cuce una camicia, mette il rossetto e, con i documenti in mano, si reca a votare per la prima volta. Il forte messaggio veicolato dal film è la necessità di possedere la propria libertà, che no, purtroppo non è scontato. L’autodeterminazione è al centro di tutto e il diritto al voto è il primo dei tanti passi che danno spazio alla libertà e all’emancipazione femminile. È una storia di amore, tra madre e figlia, di amicizia, di indipendenza economica, di realizzazione personale.
Delia con Marisa (Emanuela Fanelli)
Le violenze fisiche da parte del marito Ivano, figlio di una visione tossica e patriarcale, vengono raccontate da Paola Cortellesi, in questo suo esordio alla regia, in un modo forte e delicato allo stesso tempo, che sceglie di non mostrarle o trasformarle in una danza quasi da musical, dando vita così ad una scena d’impatto ma non fortemente esplicita. Una delicatezza che prende in considerazione la sensibilità di chi guarda e allo stesso tempo vuole evitare la pornografia del dolore. “Non c’era bisogno di mostrare le botte vere. Mi interessava che questa violenza fosse anche psicologica, quotidiana, è un rituale. Avevo paura che il voyeurismo prendesse il sopravvento: io stessa ho la tentazione di guardare l’incidente per strada”, spiega la regista.
Il film di Paola Cortellesi è narrato dal female gaze – letteralmente “sguardo femminile” – ed indica una teoria cinematografica femminista che rappresenta, appunto, lo sguardo della donna spettatrice e le donne come soggetti dotati di agency – e ci racconta la difficoltà di una donna di uscire da un ambiente domestico nocivo, la fatica di guadagnare – perché va guadagnato – il diritto alla parola, all’autodeterminazione, all’indipendenza economica e alla parità di genere.
Ma c’è ancora domani… e, con la scena finale in cui tutte le donne corrono a votare per la prima volta, ci parla di una coralità, un luogo di aggregazione e di condivisione per la lotta di diritti che non abbiamo o che abbiamo ma non in modo scontato, indipendentemente dallo status sociale a cui si appartiene. Lo fa con i silenzi e le musiche, con l’ironia, con una storia che presenta tantissime sfaccettature e che scatena un susseguirsi di emozioni diverse e un caldo e lungo applauso durante i titoli di coda.
“Se nasci donna fai già parte di un movimento” (Paola Cortellesi), perché il personale è politico.
Dottoressa in Giurisprudenza, abilitata alla professione forense, con un Master in Studi e Politiche di Genere. È un'attivista digitale, crea contenuti legali per Chayn Italia, una piattaforma che si occupa di contrastare la violenza di genere utilizzando strumenti digitali, ed è membro della Redazione de Il ControVerso. Scrive su attualità, diritti umani, privacy e digitale, inclusione, gender gap, violenza di genere.
Attualmente lavora nel settore dell'editoria libraria.