Kirchner e gli Stadio: un’atipica correlazione tra “Marcella” e “Acqua e Sapone”

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Non è consueto affiancare ad un pittore, tra i massimi esponenti del primo Novecento tedesco, una band italiana della seconda metà del secolo, la quale vanta uno dei maggiori apprezzamenti nel panorama nazionale.

Kirchner e gli Stadio, pur nella loro radicale differenza, espressiva e contestuale, si incrociano nella trattazione di un tema tanto delicato quanto scottante. Difatti, entrambi affrontano una questione convulsa, avente come oggetto un quadro e una canzone, collocati in due nature artistiche distinte: “Marcella” di Kirchner, tra i suoi quadri più celebri; “Acqua e Sapone”, brano scritto a quattro mani da Gaetano Curreri, frontman della band, e Vasco Rossi, contenuto nell’album “la faccia delle donne” del 1984[1].

Si tratta, in queste opere, dell’antinomica coesistenza, in “donne-bambine”, di una maliziosa irriverenza al cospetto di un corpo ancora puerile, lapidariamente rappresentata dall’adoperamento di colori piatti e violenti nel primo, e da sferzanti asserzioni nel secondo: “Non ti perdona se tu la rendi più importante di te”.

Ernst Ludwig Kirchner, nato nel 1880, fondatore del gruppo di artisti “Die Brucke”, dal tedesco “il ponte”, ha come fulcro della propria attività artistica l’espressione dell’interiorità, a cavallo tra la tradizione e la modernità. In particolare, in “Marcella”, il tema cardine è il passaggio dall’età puerile a quella adulta, argomento ripreso da “Pubertà”, rilevante quadro di Edvard Munch: Marcella è una giovane donna, rappresentata con corpo da bambina, ancora acerbo e privo del seno, ma con volto pesantemente truccato ed in posizione da donna adulta. Si tratta di una prostituta, la quale denuncia, con palpabile violenza visiva (tipica del “Die Brucke”), l’ipocrisia della società contemporanea. Una donna che si presenta, quasi, come oggetto di lenocinio, sfruttamento di prostituzione minorile. Il corpo ancora garbato e il fiocco tra i capelli, simboli infantili, vengono “mascherati” da uno sguardo malizioso, accentuato dal forte trucco, emblema dell’accettazione della propria condizione.

Ernst Ludwig Kirchner, Marcella o Marzella, 1909-1910. Olio su tela. Moderna Museet, Stoccolma.

Su questa linea d’onda, gli Stadio mettono in scena una “donna-bambina” che, forte della sua malizia, “sa già cosa ogni uomo/ sa come si fa!”.

La descrizione messa a punto da Curreri è precisa, costellata da aggettivi quali “strepitosa”, “meravigliosa” e “stramaliziosa”, e conferisce alla protagonista un’ambiguità di fondo: come può chi possiede malizia essere acqua e sapone?

Prendi una donna rendila bella/ tu credi che si ricordi di te/ non ti perdona se tu la rendi più importante di te”: il protagonismo della ragazza decade sugli uomini che rischiano di perdere il rispetto, di sé stessi e di lei.

“Di notte poi si trucca lo sai e tutta la città impazzisce! / Ormai si parla solo di lei, della bambina che stupisce”: la bellezza irriverente diventa quasi, se volontariamente o meno non è specificato, strumento e riflettore della ragazza, del controllo che riesce ad esercitare sugli uomini.

I presupposti rappresentativi non sembrano lasciare traccia all’ipotesi di mancanza di lungimiranza o di furbizia. Tuttavia, sarà la strofa conclusiva a chiarificare il titolo e lo sviluppo della canzone:

“Ormai si parla solo di lei/ Della bambina che stupisce / Stupisce con la semplicità/ Di una malizia che non nasce /Non nasce dalla volgarità/ Ma da un’adolescenza che fiorisce”

Acqua e sapone, Stadio, 1983.

“Ormai si parla solo di lei” mette a punto quel carattere mediatico che le viene attribuito, cioè un fenomeno di cui parlare, di cui civettare; ma è qui che viene smascherata quella stessa ambiguità sopra rilevata: quella stessa maliziosità, o per meglio dire, stra-maliziosità (si noti la differenza adoperata dei due termini), non è dettata dalla volgarità da cui sorge la malizia, bensì “da un’adolescenza che fiorisce”.

Insomma, l’ambiguità era frutto della narrazione giocata sul fraintendimento identitario della semplicità, dell’ingenuità, della natura “acqua e sapone” della giovane, la cui stra-maliziosità è frutto del passaggio naturale dalla pubertà all’adolescenza.

Kirchner e gli Stadio toccano le stesse corde, realizzate con due approcci e obiettivi differenti, risultando poco diretti, seppur mirati, nelle corrispondenti rappresentazioni. Tentano di suscitare nel fruitore delle loro opere una riflessione che tocchi ambiti delicati, di difficile trattazione politica e sociale.

Lungi, nelle due composizioni, dal considerare un’oggettificazione della donna. Anzi, mirano e corroborano quella lotta alla dignità femminile, con un linguaggio apparentemente elusivo. A testimonianza di ciò, la canzone “la faccia delle donne”, sembra delucidare tale intento.

Il brano afferma quasi un sovvertimento della considerazione letteraria della donna. La letteratura, specie italiana, ha spesso esibito il mito della donna angelicata, ravvisabile nel Dolce stil novo o, in un esempio più contemporaneo, Eugenio Montale. Gli Stadio, invece, puntano su una quasi “laicizzazione”, sottolineandone comunque la centralità: “Sulla faccia delle donne/ batte quasi sempre il sole/ per noi che se non ci fossero loro. / A noi basta una parola/ anche un gesto solamente/ per cambiare il colore di un giorno […] Dentro gli occhi delle donne/ ci sta il mondo tutto intero/ per noi che c’è solo l’amore vero.”

È contrapposta, questa strofa cantata da Curreri, ad una considerazione meno nobilitante, maggiormente materica, interpretata da Vasco Rossi, tramite la quale è creato un contrasto parteggiante per la sopra riportata posizione: “Invece noi che ogni donna è un’altra/ tutte uguali, tutte comunque sia […] noi che ci dimentichiamo/ noi che dopo ci addormentiamo.”

Sembra essere proprio questa prima considerazione il punto d’incontro di “Marcella” e “Acqua e sapone”, tramite cui Kirchner e gli Stadio esaudiscono la complessità tematica messa in piedi: un compiuto passo verso l’affermazione sociale della donna.


[1] Nonché colonna sonora dell’omonimo film diretto da Carlo Verdone, 1983.

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