La simbologia del fiore in Sergio Endrigo

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Cos’è un fiore? Questa parola, forse scontata, nasconde una complessa e articolata semantica.

Sembrerà riduttivo, difatti, ricorrere alla semplice definizione di “germoglio o parte di germoglio che porta foglie trasformate in sporofilli, ossia foglie fertili ecc..” [1]. Il termine sembra rinviare alla radice greca di Natura (physeos), che fiorisce, cresce e si sviluppa in autonomia.

Spesso, nel percorso della letteratura mondiale, la simbologia del fiore è stata impiegata anche per esprimere i sentimenti più intimi: quelli del cuore.

Sergio Endrigo, raffinato cantautore del secondo novecento, ha significativamente adoperato questa figura in alcune sue composizioni. Riecheggia fortemente la sua “Lontano dagli occhi”, brano cardine, nonché caposaldo nel panorama musicale italiano.

Nella dispersione separante attuata dalla lontananza, l’immaginazione non riesce a vincere la lotta contro l’indissolubile, ma spezzato, legame con la donna amata.

“lontano dagli occhi/ lontano dal cuore/ e tu sei lontana, lontana da me/ per uno che torna/ e ti porta una rosa/ mille si sono scordati di te.”

Quasi un’elegia funebre dell’amore, testimoniato dall’incombenza dell’”amaro sapore” o di quel “qualcosa di freddo che inverno non è”, questa composizione viene squarciata dall’apparizione della rosa, la quale si configura sì come simbolo di cessione delle proprie avance, ma anche come un involucro vuoto del sentimento non ricambiato; oppure, conformemente ad un’interpretazione forse più consona, risulta assente.

Non è l’unica volta che, relativamente all’utilizzo dei fiori in una canzone, si rinviene la presenza della rosa. Difatti, ne “La marcia dei fiori”, il cantautore afferma che “una rosa non è solo un fiore/ una rosa è una rosa/ e una rosa è una donna che muore d’amor”.

Essa si ripresenta anche nella canzone “la rosa bianca”, la cui qualificazione del colore, inoltre, non scaturisce da una valutazione casuale:

“Coltivo una rosa bianca/ In luglio come in gennaio/ Per l’amico sincero/ Che mi dà la sua mano franca/ Per chi mi vuol male e mi stanca/ Questo cuore con cui vivo/ Cardi né ortiche coltivo/ Coltivo una rosa bianca”

Dall’album “Endrigo”, “La rosa bianca”, 1963

È duplice, qui, la simbologia della rosa, seppur “coltivata” al medesimo intento. La dualità consiste nella ricorrente situazione morale, nella quale l’autore, o chiunque in generale, può ritrovarsi: “per l’amico sincero che mi dà la sua mano franca” e “per chi mi vuol male e mi stanca”.

Protagonista e vittima di queste circostanze è il cuore con cui si vive, luogo metaforico delle pulsioni e delle passioni umane.

Al bianco, inoltre, è spesso associata la purezza o un nuovo inizio, rispetto a cui il motivo del “coltivo” è riferito.

Endrigo è solito relazionare ai fiori il gesto del coltivare, consuetudine che si palesa anche in “Canzone per te”:

“È stato tanto grande e ormai non sa morire/ Per questo canto e canto te/ La solitudine che tu mi hai regalato/ Io la coltivo come un fiore”

“Canzone per te”, canzone vincitrice del festival di Sanremo 1968.
Sergio Endrigo e Roberto Carlos vincitori del Festival di Sanremo 1968

Sulla scia di “Lontano dagli occhi”, questo brano coglie l’esperienza vuotante della fine di una relazione, causa scatenante della solitudine, per dedicare proprio una canzone all’amata. Tuttavia, l’amore, nonostante l’invidia per chi è solo e l’orgoglio ridente che lo avvolgeva, non viene disperso. Anzi, viene coltivata quella stessa solitudine in vista di una rinascita, di una speranza: “chissà se finirà/ se un nuovo sogno la mia mano prenderà/ se a un’altra io dirò le cose che dicevo a te”

Anche qui, il fiore, egualmente a “La rosa bianca”, è coltivato in vista del futuro e, probabilmente, in ricordo del passato. A tal proposito, si sottolinea la stessa necessità attraverso il titolo di un’altra composizione del cantautore: si tratta di “Ci vuole un fiore”, redatta a quattro mani con lo scrittore e pedagogista Gianni Rodari. Il testo risente particolarmente delle sue teorie raccolte in “Grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie”, sulle tecniche narratologiche e sulla forza della fantasia, la quale è sondata anche in rapporto allo studio delle fiabe e delle favole.

Il brano espone, in particolare, la ciclicità della natura, dai suoi sviluppi naturali all’impiego antropico.

“Per fare un tavolo ci vuole il legno/ Per fare il legno ci vuole l’albero/ Per fare l’albero ci vuole il seme/ Per fare il seme ci vuole il frutto/ Per fare il frutto ci vuole il fiore
Ci vuole un fiore, ci vuole un fiore […] Per far la terra ci vuole un fiore/ Per fare tutto ci vuole un fiore”

Dall’omonimo album, “Ci vuole un fiore”, 1974

La canzone restituisce l’intima semplicità della fanciullesca analisi della realtà, come testimonia anche il verso “Le cose d’ogni giorno/ Raccontano segreti/ A chi le sa guardare/ Ed ascoltare”. Anche un tavolo, oggetto di immediato riconoscimento quotidiano, nasconde una circolarità esistenziale articolata. Il minimo comun denominatore, però, risulta essere proprio il fiore, emblema della natura, nonché atomo del suo manifestarsi, a partire dall’albero fino ad arrivare al monte.

Il fiore, nella canzone “Fiori”, si evince essere nobilitato da Endrigo come linguaggio alternativo, ma non per questo meno comunicativo: “Se hai perduto le parole/ Dillo con gelsomini e viole/ Con le camelie di Parigi o cara […] Fiori freschi in una stanza/ Per un momento fan felice il cuore/ E intanto fuori si muore”.

In più, si coglie, nella succitata “La marcia dei fiori”, quella ciclicità catartica che la Natura sembra restituire attraverso la gaudente immagine dei fiori:

“Tra i miracoli della natura/ che allietano il mondo da tanta sventura/ la festa dei fiori è il regalo che vale di più. / È una festa di mille profumi/ più bella di tutte le grazie del cielo/ e perfino del mare.”

Da “La vita, amico, è l’arte dell’incontro”, “La marcia dei fiori, 1969

Si rileva, nell’indagine dei testi sopra riportati, la sensibile vicinanza del cantautore ad un simbolo tanto semplice quanto vigorosamente e delicatamente incisivo.

Endrigo, coltivatore e continuatore di una tradizione poetica e letteraria, pare riproporre quell’impiego delle “parole senza storia” di Umberto Saba, avvicinandosi, per di più, alla sua “mi colpì la rima fiore amore, la più antica, difficile del mondo” (Amai).


[1] Da dizionario italiano Treccani

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