Lo scorso 11 aprile il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro per la Protezione civile e le Politiche del mare Nello Musumeci, ha proclamato lo stato di emergenza su tutto il territorio nazionale, per fronteggiare l’eccezionale incremento dei flussi migratori che ha investito l’Italia dall’inizio del 2023. L’esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha sostenuto che i centri di prima accoglienza, in particolare l’hotspot di Lampedusa, si trovano in un gravissimo stato di sovraffollamento: per questa ragione, prevede di attivare nuove strutture sia di prima accoglienza (Cpa-hotspot) che di detenzione e rimpatrio (Cpr).
La dichiarazione dello stato di emergenza consente al governo di affrontare con mezzi e poteri straordinari le criticità emerse con il moltiplicarsi degli sbarchi, attraverso un primo finanziamento di 5 milioni di euro. Attraverso un’ordinanza del Capo della protezione civile, è stato nominato come commissario delegato per la gestione migratoria il prefetto Valerio Valenti. Tuttavia, nonostante dalle fonti ufficiali si apprenda che l’emergenza è attiva su tutto il territorio nazionale, il perimetro geografico su cui il commissario può effettivamente operare comprende solo 16 regioni, con l’esclusione di Valle d’Aosta, Emilia-Romagna, Toscana, Puglia e Campania. Dal 2013 lo stato di emergenza è stato dichiarato 127 volte, ma l’unico precedente in materia di migranti risale al 2011, durante il IV governo Berlusconi, con la predisposizione di un piano di equa distribuzione nelle varie regioni italiane dei profughi provenienti dal Nord-Africa.
I numeri del 2023
Secondo i dati del Ministero dell’Interno, inerenti il periodo compreso tra il 1° gennaio e il 17 maggio 2023, sono giunte via mare 45.507 persone, contro le 15.809 arrivate nello stesso periodo del 2022 e le 13.357 del 2021. Pertanto, si può affermare senza indugio che quest’anno gli sbarchi siano più che triplicati (+310%). Sembra dunque che la retorica anti-immigrazione, promossa dalla presidente Giorgia Meloni durante la campagna elettorale, abbia prodotto innumerevoli polemiche e nessun frutto.
Nazionalità dei migranti sbarcati in Italia
Nel 2023, secondo quanto dichiarato al momento dello sbarco, la maggioranza dei migranti proviene dalla Costa D’Avorio (16%), dalla Guinea (13%), dall’Egitto (11%), dal Bangladesh (10%) e dal Pakistan (9%). Una discreta percentuale giunge invece dalla Tunisia (7%), dalla Siria (6%) e dal Burkina Faso (5%).
La variabilità delle nazionalità dichiarate dai migranti al momento dello sbarco risente in modo significativo della situazione politica, sociale ed economica attiva negli Stati di partenza: ad esempio, nel 2013 e nel 2014 i cittadini siriani in fuga dal loro Paese (42mila persone) rappresentavano un quarto dei migranti sbarcati, mentre nel 2012 era giunto in Italia un numero di siriani pari solo al 4,4%, proprio perché le condizioni di vita nei singoli territori erano ancora pressoché stabili.
Fattori che hanno contribuito all’aumento degli sbarchi
Sebbene sia difficile individuare dei legami certi di causa ed effetto, vi sono alcuni elementi che potrebbero aver condizionato e incrementato le recenti partenze. In primo luogo, il meteo favorevole: un fattore che ha condizionato particolarmente gli arrivi dalla Libia e dalla Tunisia, dove i trafficanti, approfittando delle temperature eccezionalmente calde dei primi mesi del 2023, hanno fatto partire molte più imbarcazioni rispetto agli anni precedenti. A riguardo Frontex, agenzia europea che si occupa del controllo delle frontiere, aveva dichiarato che “le condizioni meteo hanno condizionato significativamente gli sbarchi registrati nel Mediterraneo centrale, dato che i trafficanti hanno sfruttato il bel tempo per organizzare le partenze”. Di fatti, consultando i dati metereologici di alcune delle principali città della Tunisia, come Sfax e Tunisi, si apprende che a febbraio non ha piovuto quasi mai e le temperature hanno spesso superato i 20°C.
In secondo luogo, occorre prendere in considerazione la profonda instabilità politica esplosa nel Nord-Africa, specie in Tunisia. La situazione nel Paese si era aggravata già nel 2022 quando, con un referendum proposto dal presidente Kais Saied, è stata approvata una nuova Costituzione che ha spinto la Tunisia verso un sistema istituzionale ancor più autoritario, annullando di fatto le conquiste della c.d. Primavera araba. A febbraio di quest’anno il presidente Saied ha attaccato duramente i molti immigrati subsahariani presenti nel territorio, accusando loro di aver provocato un aumento dei crimini e delle violenze e di aver diffuso “pratiche inaccettabili” nel Paese. A suo avviso, i flussi migratori provenienti dall’Africa farebbero parte di un progetto di “sostituzione demografica per rendere la Tunisia un territorio unicamente africano, che perda i suoi legami con il mondo arabo e islamico”. Quella espressa dal presidente Saied altro non è che la teoria complottista della “grande sostituzione etnica” molto cara all’estrema destra europea, nonché cavallo di battaglia della propaganda anti-migratoria dell’estrema destra italiana.
I migranti sub-sahariani hanno subito diverse aggressioni da parte delle autorità tunisine e, poiché è stato anche negato loro di affittare un alloggio o di prelevare soldi in banca, tanti hanno deciso di lasciare la Tunisia, rivolgendosi alle ambasciate di Guinea e Costa d’Avorio presenti nella città di Tunisi. I dati del Ministero dell’interno, infatti, confermano tale situazione, poiché il maggior numero di migranti sbarcati sulle coste italiane nel 2023 è giunto proprio dalla Costa d’Avorio e dalla Guinea.
Il progetto che il governo Meloni intende portare avanti per la gestione dell’emergenza migratoria prevede, oltra all’avvio di un dialogo con la Tunisia, la stipulazione di accordi con i principali Paesi da cui originano le partenze, rendendo più complesso per i trafficanti il trasporto di persone via mare e più complesse anche le procedure di protezione speciale, facilitando di contro i rimpatri per coloro che sono stati espulsi dal territorio italiano. A tal proposito, secondo quanto riportato in un comunicato stampa diffuso dai capigruppo di Fratelli d’Italia alla Camera e al Senato, le cause alla base dell’incremento degli sbarchi dovrebbero essere individuate nelle “severissime pene” che l’esecutivo ha annunciato contro i trafficanti di esseri umani, i quali, come forma di vendetta e ricatto, avrebbero incrementato le partenze. Questa tesi, tuttavia, non è molto in linea con la realtà dei fatti, poiché gli sbarchi sulle coste italiane erano aumentati già molto tempo prima che il governo annunciasse, in occasione del Consiglio dei ministri svoltosi il 9 marzo a Cutro, l’inasprimento delle pene nei confronti degli scafisti.
La crescita dei flussi, inoltre, secondo quanto dichiarato all’HuffPost da Matteo Villa, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale, non dipenderebbe nemmeno dalle ONG. Infatti, egli spiega che nel 2016 circa il 45% dei migranti che arrivavano in Italia era stato soccorso da un’ONG. A partire dal 2018 il dato è sceso notevolmente, attestandosi intorno al 15%. Dall’insediamento del governo Meloni, ossia da ottobre ad oggi, la percentuale sarebbe ulteriormente diminuita: meno del 10% dei migranti arrivati in Italia è approdato sulle nostre coste grazie a un’ONG, ergo solo 10mila persone sono state tratte in salvo dalle Ong nel 2022, mentre le altre sono giunte autonomamente o sono state salvate in mare dalle navi militari italiane. Secondo Matteo Villa, ciò mostra chiaramente come il contrasto alle ONG non favorisca la diminuzione degli sbarchi. Allo stesso modo, la famosa teoria del pull factor, secondo cui le navi delle ONG costituirebbero un fattore di attrazione per gli scafisti e favorirebbero le partenze di imbarcazioni con migranti, non avrebbe alcuna conferma statistica. Infatti, secondo i dati forniti dall’Unhcr, dal 2018 le partenze quotidiane dalla rotta libica non sono state influenzate dalla presenza o dall’assenza di navi ONG a largo delle coste: ciò accade sia perché le persone vogliono partire a prescindere, e sia perché le imbarcazioni sono migliori rispetto a quelle utilizzate negli anni precedenti.
Gli effetti del decreto migranti
Il decreto-legge 20 del 2023, convertito in legge a seguito dell’approvazione di Camera e Senato, ha introdotto nuove norme in tema di immigrazione e politiche d’asilo, intervenendo anche sul complesso tema della protezione speciale. In Italia esistono tre tipi di protezione: il riconoscimento dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria e la protezione speciale. Quest’ultima spetta ai richiedenti asilo che non hanno le caratteristiche per ottenere né il riconoscimento dello status di rifugiato né la protezione sussidiaria, laddove sussista il rischio di persecuzione o tortura in caso di ritorno nei Paesi d’origine. Attraverso la protezione speciale, è possibile accogliere donne incinte, persone malate, chi ha legami familiari o affettivi stabili in Italia così come coloro che hanno intrapreso un effettivo percorso di integrazione nella nostra società. Essa aveva durata biennale, il suo rinnovo era subordinato ad una rivalutazione della situazione individuale da parte di una commissione territoriale, e veniva rilasciata direttamente dal Questore, previo parere delle commissioni territoriali, potendo poi essere convertita in permesso di lavoro. Nel 2022 i beneficiari della protezione speciale sono stati 10.865, un numero più alto rispetto a coloro che hanno ottenuto l’asilo politico (6.161) e la protezione sussidiaria (6.770). In ogni caso, delle 52.625 domande totali esaminate, più della metà (53%) è stata rigettata e non è stata concessa ai migranti alcuna forma di protezione. Occorre sottolineare che la protezione speciale, in precedenza denominata “umanitaria”, era già stata abolita dal governo Conte I nel 2018, per volontà dell’allora ministro degli Interni Matteo Salvini, che aveva incluso la misura nei decreti sicurezza. Dopo essere stata sottoposta a rilievi critici da parte del Quirinale, era stata reintrodotta dal governo Conte II nella versione finora vigente.
Il decreto Cutro, già nel testo originale, aveva cancellato la parte a tutela dei vincoli familiari dell’interessato e del suo effettivo inserimento sociale in Italia, limitando al minimo la durata del soggiorno nel territorio nazionale. Il nuovo testo approvato da Camera e Senato prevede che la protezione speciale non potrà più essere richiesta direttamente al Questore, non potrà essere convertita in permesso di lavoro, ma potrà solo essere rinnovata per un periodo di tempo circoscritto. Più nello specifico, il permesso di non respingimento verrà ora garantito solo in presenza di gravi calamità contingenti ed eccezionali, per una durata di sei mesi, rinnovabili solo una volta. Sono state inoltre ristrette le motivazioni mediche per le quali la protezione potrà essere richiesta: ora figurano solo cure mediche per patologie particolari che non possono essere trattate nei Paesi d’origine, mentre scompare ogni riferimento alle malattie “psicofisiche”. Tale provvedimento comporta inevitabilmente una precarizzazione nell’accoglienza e nella gestione dei migranti, e riducendo le forme di tutela legale nei loro confronti, anziché regolarizzare i flussi, potrebbe di contro spingere molte più persone verso condizioni di illegalità e marginalità.
Cosa ci ha insegnato la strage di Cutro
A Cutro, paese in provincia di Crotone, il 26 febbraio scorso un peschereccio di legno blu che era partito da Smirne, in Turchia, è naufragato, causando la morte di 94 persone, di cui 36 bambini, e numerosi altri dispersi. Nelle settimane successive al naufragio, i cittadini della comunità calabra si sono uniti al dolore dei migranti, molti dei quali hanno perso i propri cari o non li hanno più ritrovati. Si è formata un’unica grande coscienza forgiata nella vergogna, nello sdegno e nella consapevolezza che calpestare quella che per molti rappresenta la terra promessa, è un privilegio di cui ora possiamo godere, ma che la nostra storia passata dovrebbe averci insegnato a non dare per scontato, perché anche noi siamo stati migranti e abbiamo ripopolato altri territori. La legge del mare è spesso spietata, per questa ragione bisognerebbe comprendere che non esistono esigenze politiche, norme e confini che possano giustificare la mancata accoglienza di chi rischia la propria vita per costruire un futuro migliore: prima si accoglie, poi si discute sui permessi d’asilo, sui rimpatri, sui ricollocamenti in altri Stati europei.
Umanizzare il dibattito pubblico che ruota intorno ai fenomeni migratori è il primo passo per rendere nuovamente il mare un ponte di connessione, e non un simbolo del privilegio occidentale che calpesta la dignità e la vita di persone meno fortunate di noi. Tutto ciò presuppone non solo un coordinamento nazionale dei flussi, attraverso l’apertura di canali di ingresso regolari e la predisposizione di misure di viaggio più sicure, ma anche e soprattutto un coordinamento europeo, poiché il fenomeno è estremamente complesso per essere gestito dai singoli Paesi e necessita di politiche comunitarie che investano la responsabilità di ogni Stato membro e non solo dei territori di prima accoglienza, come appunto l’Italia.
«Di fronte all’evento drammatico che si è consumato a Cutro, il cordoglio deve tradursi in scelte concrete, operative, da parte di tutti: dell’Italia, per la sua parte, dell’Unione europea, di tutti i Paesi che ne fanno parte, perché questa è la risposta vera da dare a quel che avvenuto, a queste condizioni che, con violazioni di diritti umani e della libertà, colpiscono tutti, in qualunque parte del mondo» ha affermato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, intervenendo a Potenza all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università della Basilicata.
Una millennial appassionata di politica e diritti umani. Scrivo per diletto e dedizione verso la buona informazione.