Anno 1900. Inizio di quello che Hobsbawm definirà secolo breve. Australia.
Un gruppo di ragazze del collegio femminile Appleyard accompagnate da due insegnanti trascorre il giorno di San Valentino facendo una gita e un picnic ad Hanging Rock. Quattro delle allieve si allontanano per esplorare le rocce più da vicino. Dopo ore, solo una di loro è tornata, turbata, di corsa, dopo che qualcosa che lei stessa non sa definire l’ha sconvolta. Delle sue compagne – le più grandi, le più ricche, le pupille del collegio – nessuna traccia. Ma anche una delle due insegnanti – la più anziana – è sparita.
Questa introduzione che leggete è un riassunto di tre cose: la prima è un libro degli anni ’60, della scrittrice Joan Lindsay; la seconda è un fatto di cronaca, a detta della scrittrice; la terza è un film di Peter Weir del 1975. La trama è comune.
Per contestualizzare, Weir è il regista de L’attimo fuggente e di The Truman Show, ma il suo Picnic ad Hanging Rock, del 1975, è precedente a entrambi e forse più a rischio di passare inosservato. È uno dei film esemplari – tra quelli tratti da opere letterarie – dal punto di vista della fedeltà allo scritto: quando si parla del Picnic ad Hanging Rock, film e romanzo sono perfettamente interscambiabili. Anzi, qualcuno ha evidenziato la potenza evocativa dell’opera di Weir rispetto allo stile scarno, volutamente da cronaca, della Lindsay.
Joan Lindsay e Peter Weir
Il film è forse uno dei più estetici della cinematografia del secolo scorso, ed estetico in senso classico. Ha un che di nebuloso: le trine dei vestiti, la massa di foglie che si confonde con l’erba alta, le forme d’acqua che compaiono in un ruscello saltato o in un cigno in un laghetto da giardino. Capelli, crine di cavalli, i veli sopra il letto di Irma, a proteggere dalle zanzare. Le tovaglie, le lenzuola, le gonne, la polvere. C’è un che di soffice che percorre tutta la durata del film. Un che di ammortizzato rispetto alla durezza rocciosa di Hanging Rock, certo, ma anche rispetto all’austerità cerimoniosa del collegio Appleyard. Le riprese della natura ricordano Monet, con i suoi giardini disordinati.
I personaggi, ogni volta che sono ripresi all’aperto, lontano dalle costruzioni dell’uomo, assumono un aspetto meno rigido e più morbido, fondendosi perfettamente negli elementi. Rispetto a una natura maestosa e viva, ripresa con maestria assoluta dalla telecamera di Weir, le cose umane sembrano piccole e claustrofobiche.
Il tema della comunione (o fusione) con la natura, reso visivamente, si ricollega in modo diretto con la vicenda. Marion, Miranda e Irma, risalendo la montagna nella sequenza che è il punto centrale del film, raggiungono un grado di identificazione – mistica, letterale – con l’ambiente tale da scomparire in esso. Tale scomparsa non è affatto improvvisa, ma viene raccontata come una progressione che inizia già da molto prima, da quando Miranda, prima di allontanarsi dal gruppo delle compagne che riposano sul luogo del picnic, saluta con la mano Mademoiselle de Poitiers. Non a caso, questa scena sarà ripetuta, rallentata, a chiusura del lungometraggio. Dopo essersi allontanate, mentre salgono, le ragazze lentamente si separano dal tempo: già al luogo del picnic tutti gli orologi si erano fermati. Quale può essere il senso del tempo nella misura dell’uomo di fronte a qualcosa di così antico come Hanging Rock, che altro non è che un monumento vivo all’immensità della creazione? Mentre salgono, lentamente, le ragazze si spogliano dei rigori sociali. Si tolgono le scarpe, procedono a piedi nudi, non utilizzano parole. Irma danza in maniera quasi sciamanica, senza le affettazioni imposte al sesso femminile. La fusione nel mondo e nel monte inizia e si completa (almeno per Marion, Miranda e Miss McCrow) come un qualunque, placido e imprescindibile, processo naturale.
Irma, che verrà ritrovata dal giovane Michael Fitzhubert dopo otto giorni, svenuta sulle rocce senza scarpe né calze ma con i piedi misteriosamente puliti, quando si riprenderà dallo stato quasi comatoso in cui è caduta, non si ricorderà nulla di ciò che le è successo né sembrerà portare strascichi di un trauma. La goffa e piccola Edith, allo stesso modo, pur essendo tornata di corsa e sconvolta al luogo del picnic lasciando indietro le compagne, dopo pochi giorni appare di gran lunga meno turbata delle altre allieve.
Entrambe sono tornate alla civiltà dopo aver sfiorato (Edith) o brevemente vissuto (Irma) questa separazione dalla coscienza collettiva umana. Anche se in maniera non definitiva, sono arrivate alle soglie o poco oltre dei confini mentali imposti dall’uomo su ciò che lo circonda. Tutti coloro che le circondano sono invece rimasti nei confini della comprensione umana. Essi dimostrano un turbamento feroce. Non riescono a capacitarsi.
Non è una questione di intelligenza ma semplicemente di esperienza: prendiamo Edith, che viene presentata tanto nel film quanto nel libro come una ragazzina superficiale e sciocca. Edith torna al picnic sconvolta, turbata, graffiata dai rami durante la corsa. Ma già dopo qualche giorno si è completamente ripresa, è tornata a essere quella di prima. Irma farà lo stesso. Entrambe dicono la stessa cosa: non ricordano niente. La loro tranquillità ricalca quella di tutti gli altri personaggi prima che la sparizione avvenisse: per tutti, Hanging Rock non era altro che la conformazione accidentale di una terra che esiste solo in funzione dell’uomo, affinché l’uomo vi ci cammini, o ne ammiri la bellezza, o vi ci organizzi un picnic. Poi succede qualcosa di inspiegabile: ma mentre per Edith e soprattutto Irma, questo “inspiegabile” è solo relativo e in qualche modo superabile attraverso la loro stessa dimenticanza, per tutti gli altri esso è l’inaccettabile indizio dell’incidentalità non di una conformazione rocciosa, ma dell’umanità – con tutte le sue certezze e il suo dominio – intorno a essa. E l’inaccettabile confina la diffidenza, che confina con la follia: quando Irma andrà a salutare le compagne del collegio prima di partire, si troverà fisicamente al centro di una rapida ma rabbiosa isteria collettiva, esplosa dopo lunghi istanti di sguardi e silenzi spietati.
Irma nella palestra tra le compagne – fotogramma dal film
Quando Marion, Irma e Miranda salgono tra le rocce, alcune inquadrature del monte suggeriscono visivamente l’immagine di una gola – premonizione di come le ragazze ne saranno inghiottite. Ma resta comunque l’immagine di qualcosa “dall’interno”. Le ragazze sono dentro l’organismo vivo del monte. Quando le squadre di ricerca, Michael, Albert, gli investigatori, i cani passeranno su quello stesso monte, si ha l’impressione di un esterno, come piccoli animali che si stiano arrampicando sopra il dorso di un essere più grande. Weir trova il modo di suggerire che non si tratta di luoghi diversi ma di stati d’animo diversi, a cui la montagna viva, antica e pertanto cosciente si apre o si chiude. E lo fa in una scena precisa, quando l’investigatore, Edith e l’insegnante di francese tornano sulle stesse rocce percorse dalle ragazze in qualche scena precedente: stesse rocce, stessi colori, stesso tronco, eppure sembra – merito delle inquadrature e della fotografia – che il luogo sia diverso. Nello stesso luogo in cui la montagna si è aperta per le ragazze che accolgono, come si accoglie la bellezza dell’alba o della notte, il suo mistero, stavolta la stessa rimane chiusa a chi di quel mistero stesso cerca una soluzione facilmente ascrivibile alle regole della scienza umana.
Miranda durante la salita – fotogramma dal film
L’insegnante che scompare insegnava ed era una grande cultrice di matematica. Così come Marion. Ma la matematica, in qualche modo, è la scienza che prende le misure del mistico. Quando chiede il permesso di allontanarsi, Marion specifica che vorrebbe “prendere le misure della roccia”. Miranda, d’altro canto, ha lei stessa qualcosa di mistico: le persone ne sono naturalmente attratte. Michael, dopo averla vista solo per pochissimi istanti, non riuscirà mai più a togliersela dalla testa. Come Hanging Rock, Miranda esercita una forza magnetica, correlata certo ma non limitata alla sua bellezza. Più avanti, Sarah dirà che “Miranda conosce cose che gli altri non conoscono, segreti… non è andata lì per caso”. Sarah, che condivide con Miranda un amore intenso e profondo, ne condivide anche il passare oltre le soglie dello scientificamente spiegabile. Appare in sogno ad Albert, il fratello da cui era stata separata, alla vigilia della propria morte.
Il culmine del film, sia visivamente che nell’economia della vicenda, è la sequenza che segue le tre giovani e la riluttante Edith nella salita sulla montagna. Questa scena sarà richiamata più volte. Il climax è dunque cronologicamente spostato indietro, verso l’inizio del film, una scelta che non è usuale nella storia della cinematografia ma che assolve a un compito preciso. Dopo di essa non ci saranno colpi di scena, il mistero non sarà svelato. Il film scenderà placidamente verso la propria conclusione, portando con sé e oltre di sé il ritorno a una normalità carica di oblio.
Un altro punto da sottolineare è la differenza con cui viene percepita la scomparsa iniziale delle giovani su Hanging Rock e quella invece con cui viene presentata la morte (presumibilmente suicidio) della giovane Sarah e della direttrice del collegio: la prima per l’amore per Miranda, la seconda per il disgregamento finanziario ma anche valoriale del collegio e di ciò che rappresenta. Anche un’altra delle insegnanti – Miss Lumley – morirà tragicamente nel libro, nell’incendio di un albergo dove lei e il fratello stavano sostando dopo le dimissioni dalla scuola. La morte – violenta, brutale – di queste tre donne non suscita tanto sconvolgimento quanto la sparizione di Marion, Miranda e Miss McCraw. Non ci sono giudizi di valore, a riguardo, né da parte di Lindsey né di Weir, ma una tacita presa di consapevolezza: l’uomo è in qualche modo anestetizzato rispetto alla tragedia quando essa è causata dalla società umana e dalle sue strutture – l’amore per Sarah, il valore per Mrs. Appleyard – mentre non riesce ad accettare, e pertanto ne è sconvolto, quella la cui causa non sia riconducibile a se stesso. È un punto su cui riflettere, soprattutto in riferimento al contesto storico. Lindsay pubblica il libro, già anziana – verso la fine degli anni ’60, Weir produce nella metà degli anni ’70. Entrambi hanno visto tanto, di quel secolo breve così denso di tragedie di umani per umani.
Nella realtà (vera o inventata), nel libro e nel film non esiste una soluzione del caso. Non si sa cosa sia successo nei fatti a Marion e Miranda, come Irma sia sopravvissuta sulle rocce e perché il suo corsetto non sia stato ritrovato, cosa sia successo a Miss McCraw o cosa abbia turbato Edith al punto da farla fuggire via di corsa dal gruppo delle altre tre.
Esiste un capitolo diciottesimo del libro che l’autrice decise di rimuovere e che sarebbe stato poi pubblicato a parte. Per me questa scoperta è recente, e in qualche modo sono contenta di non averla avuta sottomano quando leggevo o guardavo Picnic ad Hanging Rock: questo capitolo racconta la soluzione del caso. Non una soluzione logica, ma mistica, e in ciò in linea con l’anima della vicenda. Seguo l’esempio di Wired e vi lascio qui il link dove potrete leggere – se lo vorrete – la trama del capitolo cassato.
Io, personalmente, credo che diciassette capitoli siano giusti. Che il film finisca là dove deve finire. All’inspiegabile, preferisco l’inspiegato. Al mistico svelato, preferisco il mistero.
« Ha un che di nebuloso: le trine dei vestiti, la massa di foglie che si confonde con l’erba alta, le forme d’acqua che compaiono in un ruscello saltato o in un cigno in un laghetto da giardino. Capelli, crine di cavalli, i veli sopra il letto di Irma, a proteggere dalle zanzare. Le tovaglie, le lenzuola, le gonne, la polvere. C’è un che di soffice che percorre tutta la durata del film.» Una scrittura così tersa, da sola merita la lettura di questa riflessione d’autrice. Non ho visto ancora il film. Dopo queste righe, non posso più ignorarlo.