Foto di Henk Bekker della Sala dov’è ospitata la Primavera – Flickr (CC BY-NC-SA 2.0)
George Carlin in uno dei suoi esilaranti sketch di qualche anno fa, con la sua pungente ed inimitabile ironia, faceva riferimento alla smania collettiva del voler salvare qualcosa: chi vuole salvare gli alberi, chi le api, chi ancora le balene e chi addirittura vuole salvare il pianeta. Una pretesa un pelo presuntuosa a detta dello stesso Carlin, dal momento che gli esseri umani non sanno prendersi cura di sé stessi figuriamoci del pianeta.
Ecco, questo pensiero, seppur gonfiato di quella dose di esasperazione necessaria a chi fa satira, sarebbe da sposare appieno. Salvare il pianeta non solo è al di fuori della nostra portata, ma è un pensiero assolutamente folle, anche perché, sempre continuando a citare Carlin, il pianeta sta benissimo, piuttosto siamo noi ad essere in pericolo. Non sarà mai qualche busta di plastica o qualche barattolo di alluminio di troppo a metter fuori causa il mondo: esso prima o poi modificherà banalmente il suo paradigma, assorbendo la plastica o l’alluminio, e si libererà di noi come un ammasso di pulci, attraverso il metodo della selezione naturale.
Dopotutto il mondo è lì da miliardi di anni, noi solo da qualche centinaio di migliaia, possiamo davvero avere la presunzione di considerarci una minaccia? Ovvio che no.
Dunque, tocca essere più pragmatici e provare a salvare noi stessi. E in un periodo storico in cui gli effetti del cambiamento climatico si manifestano sempre più frequentemente attraverso siccità e calamità naturali molto aggressive – in Italia l’ultimo disastro in ordine di tempo è l’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna – svariati movimenti di attivisti a favore dell’eco-sostenibilità trovano le luci della ribalta attraverso le loro campagne di sensibilizzazione. Tali movimenti, tra cui in Italia l’ormai celebre Ultima Generazione, si propongono di mettere in atto una serie di azioni dimostrative che mirano ad accendere un faro sulla crisi climatica ed ottenere le attenzioni dei governi, al fine di richiedere interventi strutturali per contrastare il collasso a cui stiamo andando incontro.
A detta loro, si tratta di incursioni di disobbedienza civile “non violente” che servono per ottenere l’ascolto che non hanno ricevuto quando hanno utilizzato metodi meno invasivi. Ma se da un lato bloccare il traffico, imbrattare monumenti e gettare vernice sulle opere d’arte può sembrare un modo pacifico di agire, dall’altro queste azioni di grande impatto visivo risultano sempre più spesso stucchevoli e paradossalmente violente. Infatti, sebbene la causa portata avanti da questi attivisti è senz’altro lodevole e molto nobile, c’è da dire che le azioni messe in atto, volte letteralmente a stuprare il nostro patrimonio artistico, stabiliscono una condotta assolutamente violenta. Attaccare l’arte e la cultura in modo così barbaro non può mai giustificare una causa, anche se è la più condivisibile, altrimenti si finisce per essere degli eco-vandali più che degli eco-attivisti.
Tuttavia, tralasciando l’aspetto puramente etico e morale, sul quale si può in qualche modo soprassedere, vale la pena porre l’attenzione su due aspetti di non poco conto che scaturiscono da questa singolare strategia di protesta: la coerenza e l’efficacia.
Partiamo dalla coerenza. In più di un’occasione i blitz di Ultima Generazione hanno richiesto risorse idriche non indifferenti per porre rimedio alle loro “marachelle” da scugnizzi di periferia, basti pensare che per ripulire Palazzo Vecchio a Firenze ci son voluti all’incirca cinquemila litri d’acqua, come comunicato dal sindaco Dario Nardella sul suo account Twitter. Ecco, al netto di tutto, un’azione di questo tipo è decisamente in contrapposizione con quegli ideali che essi stessi pretendono di difendere, turlupinando di conseguenza prima il loro movimento e poi la collettività.
Sprecare cinquemila litri d’acqua per combattere la siccità, nel periodo in cui la portata dei fiumi in Italia tocca il minimo storico, fa il paio con Rocco Siffredi che se ne va in giro a predicare una vita di castità. E poco importa se qualcuno obietta, nemmeno tanto legittimamente, che l’acqua utilizzata per ripulire i loro casini è poca roba rispetto ai disastri che ci passano sotto gli occhi per effetto del cambiamento climatico. Un ladro di caramelle resterà pur sempre un ladro, anche se in giro c’è chi va a fare le rapine in banca. Non ci si può avvalere della tecnica dell’elisione sulla base della portata della refurtiva, per cui se qualcuno fa peggio ci si può automaticamente autoassolvere. Questo meccanismo perverso fa parte della distorsione dei nostri tempi, in cui si fa la corsa al contrario verso l’accettabile, perché tanto in giro c’è sempre chi riesce a fare più schifo di noi. E questo, francamente, non solo è inaccettabile per chi si erge a difensore di ideali così nobili, ma mina nelle fondamenta la credibilità di questi movimenti. E chi si sognerebbe di ascoltare qualcuno che non gode di credibilità? Assolutamente nessuno.
Secondo aspetto di interesse, ma non secondo quanto a importanza, è l’efficacia che comporta questa strategia di sensibilizzazione.
Occorre dire innanzitutto che se l’obiettivo è quello di mettere sotto i riflettori il problema del cambiamento climatico, allora gli attivisti hanno sicuramente sbagliato candeggio. Del resto, non è necessario essere laureati alla Bocconi per guardare distrattamente i telegiornali e comprendere da soli che le azioni contro le opere d’arte e i blocchi del traffico hanno l’effetto sistematico di infastidire non poco i malcapitati presenti. Ogni qual volta vanno in scena, pur operando in un contesto sociale decisamente refrattario a protestare per qualcosa che non sia il calcio o la birra al pub il sabato sera, scatenano una pletora di insulti da parte dei presenti degna delle peggiori curve dei campi delle serie minori: indice del fatto che ‘sta cosa del buttare la vernice a destra e manca e stendersi per strada a prendere il sole mentre la gente si reca a lavoro tende a sventrare l’apparato riproduttivo praticamente a tutti. Ora per carità, vale tutto, ma sembra più evidente di un Hummer in doppia fila che questo metodo sta all’efficacia quanto Moira Orfei sta alla sobrietà.
Se è vero che Machiavelli sosteneva che il fine giustifica i mezzi, in questo caso non c’è giustifica che tenga, dal momento che il fine ultimo passa in cavalleria per effetto dei mezzi utilizzati. Nessuno, assolutamente nessuno, parla di ambiente dopo ogni loro azione. Tutto ciò che resta è sistematicamente lo sgomento, nient’altro.
Far parlare di sé come una massa di stolti raggrumati sulla base di un futile capriccio, ponendo in secondo piano l’importantissimo problema dell’eco-sostenibilità, è il capolavoro assoluto di cui sono stati capaci Ultima Generazione e compagnia bella. E la cosa più grave è non rendersene conto e non provare a raddrizzare il tiro nemmeno davanti all’evidenza dei fatti.
Provare a cambiare le cose si può e si deve, prima che sia troppo tardi per l’umanità. Smettere di investire nei combustibili fossili in favore di fonti eco-sostenibili e cambiare le nostre abitudini è una strategia valida e sicuramente da perseguire. Tuttavia, la strada per sensibilizzare persone e governi non può continuare ad essere quella battuta fino ad oggi, fatta di soli blitz qua e là. È abbastanza chiaro che questi movimenti abbiano bisogno di una guida diversa, che tenga le fila e che dia anche nuovi strumenti per un dialogo più convincente con chi sta dall’altra parte della barricata. Altrimenti rischiano solo di essere come quelli che hanno la smania di salvare qualcosa fuori dalla propria portata: gli stessi su cui ironizzava George Carlin.