Joseph Ratzinger: l’emerito conservatore

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Dicevano gli antichi Romani che “de mortuis nil nisi bonum“, “dei morti non si può dire nient’altro che bene”. Ma, considerando il fatto che del ben parlare sulla figura del Papa emerito Benedetto XVI, al secolo Joseph Ratzinger, sono già state riempite pagine di giornali e numerose trasmissioni televisive, forse è giunto il momento anche di esaminare l’altro lato della sua vicenda papale e teologica.

Joseph Ratzinger nacque nel 1927 a Marktl, in Baviera, agli inizi del collasso dell’ordinamento democratico rappresentato dalla cosiddetta “Repubblica di Weimar”. Il padre era un commissario di gendarmeria, acerrimo nemico del nazismo; la stessa famiglia conobbe da vicino l’orrore del programma di eutanasia messo in atto dal regime nazista, in quanto di questo ne fu vittima un cugino affetto dalla sindrome di Down (come ebbe modo di raccontare lo stesso Ratzinger nel 1996). Nel 1939, all’età di dodici anni, si iscrisse al seminario minore di Traunstein, in cui rimase fino alla sua chiusura nel 1942, perché convertito ad usi militari e, successivamente, fu iscritto, per obbligo di legge, alla Gioventù hitleriana, pur non frequentando mai le riunioni grazie anche all’aiuto di un professore di matematica del Gymnasium che frequentò dopo la chiusura del seminario.

Successivamente studiò teologia, prima a Frisinga ed infine a Monaco di Baviera dove, nel 1953, discusse la tesi di dottorato su Sant’Agostino, riportando la valutazione massima summa cum laude. Lo stesso Joseph Ratzinger, in occasione della dissertazione su San Bonaventura scritta ai fini dell’abilitazione all’insegnamento universitario, venne accusato di un “pericoloso modernismo” da parte del suo correlatore Michael Schmaus perché, in linea con quello che sarebbe stato il pensiero successivo, le idee espresse in quello scritto avrebbero potuto portare alla soggettivizzazione del concetto di rivelazione: un pensiero moderno all’interno della corrente conservatrice della Chiesa del Dopoguerra.

Certamente va ricordata l’eccellente carriera universitaria: infatti, il futuro papa Benedetto XVI ottenne giovanissimo la cattedra in teologia presso l’Università di Frisinga, per poi essere trasferito in altre università teologiche tedesche. E, da professore, partecipò al Concilio Vaticano II in cui divenne perito per il Concilio. Dopo il suo ritorno in Germania, ha continuato ad insegnare arrivando a diventare vicepresidente dell’università di Ratisbona nel 1976.

Successivamente, dopo la nomina ad arcivescovo, venne nominato prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (la vecchia Inquisizione), l’organo preposto a vigilare sulla correttezza della dottrina cattolica ed uno degli uffici più importanti della Santa Sede. E proprio in questa sede il futuro papa Benedetto XVI mostrerà quelli che saranno i tratti filosofici e teologici della sua futura missione papale; infatti, firmò il documento dal titolo Cura pastorale delle persone omosessuali dove viene esplicitamente affermato che:

“Occorre invece precisare che la particolare inclinazione della persona omosessuale, benché non sia in sé peccato, costituisce tuttavia una tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale. Per questo motivo l’inclinazione stessa dev’essere considerata come oggettivamente disordinata” [1].

Ma, probabilmente, lo scritto più controverso fu l’epistola De delictis gravioribus del 18 maggio 2001 con cui, secondo l’interpretazione data al tempo dalle diocesi, la Curia romana prese il controllo di tutte le vicende legate alle molestie e violenze sessuali in cui erano coinvolti dei sacerdoti, esautorando i vescovi da questa classe di delitti. Questo stesso documento fu al centro di svariati processi proprio perché -secondo l’interpretazione che fu applicata dai tribunali diocesani- venne ritenuto all’origine di un tentativo di insabbiamento dei casi di pedofilia in cui erano coinvolti dei sacerdoti, vicenda di cui parla anche il film “Il Caso Spotlight”, di cui abbiamo parlato in un altro articolo. Lo stesso Joseph Ratzinger venne imputato nello stesso caso per “ostruzione della giustizia” nell’ambito del processo contro un seminarista presso la Corte distrettuale della contea di Harris nel 2005 proprio per l’epistola sopra citata, ma, poco dopo l’elezione al soglio pontificio, ha potuto godere dell’immunità diplomatica riservata ai Capi di Stato senza, dunque, deporre nell’ambito di questo caso. Alla fine, l’accusa di ostruzione venne archiviata.

Eppure, non sono le vicende, giudiziarie e non, a tracciare le caratteristiche del pontificato di Joseph Ratzinger, poi Benedetto XVI; piuttosto, per descrivere compiutamente quello che è stata la sua storia a capo della Curia romana, serve tracciare brevemente le linee del suo pensiero, anche facendo riferimento ad alcune affermazioni e vicende che l’hanno visto, seppur indirettamente, coinvolto.

Va, infatti, ricordato come l’elezione al soglio pontificio di Joseph Ratzinger sia arrivata dopo il lungo pontificato di Giovanni Paolo II, quest’ultimo fervente conservatore che aveva avuto il merito di veicolare il suo messaggio tradizione attraverso i mezzi d’informazione moderni: una scelta, quella del Conclave, in continuità con la precedente direzione di stampo conservatore, proprio perché era stato lo stesso Joseph Ratzinger, quale prefetto della Congregazione per la fede, ad imprimere la direzione teologica fondamentale al papato del suo predecessore attraverso numerose lettere ed anche con il libro-intervista, scritto da Vittorio Messori nel 1984, “Rapporto sulla fede”. Joseph Ratzinger, dunque, era una scelta sicura per mantenere la linea del conservatorismo cattolico letto in chiave moderna, cioè consapevole dei mezzi moderni e con una Chiesa non più relegata alla rigida separazione dal mondo laico, ma moderna nei mezzi e rigida nel messaggio.

Non a caso è stato definito il “Papa teologo” proprio per la centralità della sua precedente carriera accademica nel suo pontificato: infatti, non sono mancati numerosi scritti nel corso del suo pontificato, ma ben lungi dall’essere rivoluzionari, questi hanno ribadito la monolitica posizione della Chiesa romana su numerosi temi: a partire dall’omosessualità, dai diritti umani e dalla concezione stessa del rapporto tra Chiesa e società laica. Del resto, all’indomani dell’elezione di Benedetto XVI, Leonardo Boff ebbe a dichiarare che «Ratzinger ha un grande limite, è senza dubbi: e coloro che non hanno dubbi non sono aperti al dialogo, né sono capaci di apprendere dagli altri», la giusta premessa ad un pontificato complicato e, in parte, controverso.

Infatti, come viene limpidamente scritto nel pamphlet anonimo “Contro Ratzinger” del 2006:

“L’autorevolezza filosofica di Joseph Ratzinger non va riconosciuta perché, al di là delle manchevolezze del suo discorso, egli ha clandestinamente sottratto al campo della ricerca razionale il suo nucleo e il suo scopo essenziali. Definendo (ma mai dimostrando) la parzialità e l’insufficienza della ragione umana com’è stata definita in epoca moderna rispetto all’autenticità del racconto cristiano, indimostrabile per definizione, il pontefice nega alla verità la possibilità di offrirsi a un’interrogazione razionale. A giudicare dalla mollezza con cui molti filosofi di professione accolgono la mossa strategica del pontefice, la filosofia – in quanto ricerca della verità – sembra morta davvero. Il pensiero sembra essersi così indebolito da gettarsi con sollievo tra le braccia della religione, una vecchia amante.”

La filosofia sembrava morta davvero nel pensiero del nuovo Papa che, astutamente, aveva ridato priorità al pensiero cristiano di scuola cattolica ed aveva, invece, indebolito tre secoli di tradizione laica ed illuminista. Perché il vero obiettivo di Benedetto XVI non è stato il cd. “relativismo etico”, di cui ha parlato anche in un famoso discorso [2], ma il pensiero post-moderno e quello illuminista che riconoscevano nella ragione umana la creazione della moderna società. Un dibattito, quest’ultimo, che lo terrà impegnato per tutta la durata del suo pontificato [3].

Certamente, nell’idea di religione di Benedetto XVI, riassumeva centralità la dottrina cattolica tradizionale che determinava la ricerca di un nuovo equilibrio basato su una più fedele interpretazione dei precetti stessi, quasi indipendenti rispetto al mondo fuori il sagrato. Insomma, il suo non è certamente stato un pontificato all’insegna del progressismo, quanto piuttosto un tentativo di arginare il nuovo che avanzava, utilizzando vecchie dottrine espresse attraverso i nuovi media. E questo senza neanche la stessa efficacia che ebbe il messaggio del suo predecessore, Giovanni Paolo II, il quale era egli stesso allineato al pensiero di Joseph Ratzinger e, anzi, si potrebbe dire che quest’ultimo, nella sua funzione di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, è stato il reale artefice del pensiero pontificio sin dall’elezione al soglio del papa polacco.

Per cui come concludere e trarre le conclusioni del pontificato di Benedetto XVI, specie ora che è morto? Si può concludere dicendo che, ben lungi dal rappresentare uno strappo alla tradizionale dottrina della Chiesa cattolica, egli ne ha incarnato l’aspetto più conservatore utilizzando il linguaggio comunicativo moderno. Egli stesso, va ricordato, è stato un interprete della dottrina sociale della Chiesa e della critica al sistema economico moderno, ma sempre in chiave cattolica dove il mercato non è male di per sé (nell’enciclica Caritas in veritate del 2009), ma uno strumento che viene male usato in quanto esso, stando alle sue parole,  «è l’istituzione economica che permette l’incontro tra le persone, in quanto operatori economici che utilizzano il contratto come regola dei loro rapporti e che scambiano beni e servizi tra loro fungibili, per soddisfare i loro bisogni e desideri» .

Quindi, per quanto adattato ai tempi, il pensiero espresso da Benedetto XVI resta un pensiero tradizionalista, decisamente distante dalle istanze, tipicamente sudamericane, portate avanti dal suo successore Francesco, al secolo Jorge Bergoglio, ma quest’aspetto si spiega anche con il diverso retroterra culturale dei due pontefici con il primo che è stato partecipe del Concilio Vaticano II, pur restandone deluso, ed è sempre stato parte della burocrazia ecclesiastica e degli ambienti teologici europei, mentre il secondo è stato partecipe di alcuni dei momenti più tragici del proprio paese, l’Argentina.

L’eredità che lascia Benedetto XVI, dunque, è un’eredità dalle molte sfaccettature, ma sicuramente non adatta al mondo contemporaneo ed alla sopravvivenza della Chiesa Cattolica al nuovo millennio. Sarà il tempo a decidere quanto peso avranno le posizioni e le dottrine espresse dal papa tedesco.


[1] Congregazione per la Dottrina della Fede – Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali. 1° ottobre 1986. Firmata da Joseph Ratzinger nella sua funzione di Prefetto. Tutto il documento disponibile su

https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19861001_homosexual-persons_it.html

[2] Normae de delictis Congregationi pro Doctrina Fidei reservatis seu Normae de delictis contra fidem necnon de gravioribus delictis, 21 maggio 2010. AAS 102 (2010), 461.

[3] Omelia dell’allora cardinal Joseph Ratzinger nella Messa pro eligendo Pontifice del 18 aprile 2005 dove egli dice testualmente «[..] Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero… La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde – gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore. […]». Un testo che, chiaramente, si scaglia contro le conquiste del Secolo dei Lumi ed elenca le stesse dottrine che solo “deleterie alla fede”. Su questo è utile segnalare anche l’intervento di Roberto Cerini sul sito dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti al link: https://www.uaar.it/uaar/documenti/85.html/. Omelia completa su https://www.gliscritti.it/antologia/entry/132

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