Domenica scorsa una donna ha partorito e ha deciso di affidare il neonato alla clinica Mangiagalli di Milano.
Il parto in anonimato è teoricamente tutelato dalla legge, dall’art. 30, comma 1, del D.P.R. 96/2000, secondo cui “la dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l’eventuale volontà della madre di non essere nominata”. Tramite questa disposizione si vuole tutelare il diritto di anonimato di chi non sceglie la maternità, garantendo comunque l’assistenza sanitaria e la tutela giuridica al neonato che viene affidato ad una struttura sicura.
Le Culle per la vita sono strutture che originariamente venivano chiamate “ruote degli esposti” e che, dopo esser state soppresse, vennero riproposte nel 1993 per limitare i casi di abbandono. Sono molto presenti ad oggi in Italia, soprattutto su istanza dei movimenti antiabortisti col fine di convincere le donne a non interrompere la gravidanza.
A questo punto, però, è chiaro come il problema non sia l’aborto, ma il diritto di autodeterminazione delle donne, che non possono scegliere di non volere figli nella vita, di abortire, o di portare a termine la gravidanza e poi dare il neonato in adozione. Il problema è a monte: una donna non può non volere la maternità. E nonostante spesso ci sia una tutela, anche giuridicamente prevista, la società ostacola chi esercita quel pieno diritto alla libera scelta.
Non conosciamo i motivi per cui la donna ha deciso di affidare il neonato alla struttura, ciononostante tutti hanno deciso che fosse per motivi economici. In tal modo, hanno stabilito cosa l’aveva portata a quella scelta, hanno parlato per lei.
La notizia ha avuto una forte reazione mediatica e ha scaturito diversi appelli. Tra i vari, quello di Ezio Greggio, in cui ci sono diversi punti problematici: innanzitutto lui ha deciso che non “è giusto che sia abbandonato”. Eppure non si dovrebbe parlare di abbandono, ma di affidamento a una custodia. E poi, chi decide che non è giusto per una donna non scegliere la maternità? Un uomo, logicamente.
Il conduttore ha poi stabilito anche il motivo alla base della scelta della donna dicendo di capire le sue “difficoltà economiche”. Ci sono molti motivi per cui una donna può fare questa scelta, eppure si dà per scontato che abbia quel famoso istinto materno e che se non sceglie di diventare madre c’è per forza un motivo impeditivo. Non potrebbe mai essere una libera autodeterminazione.
Infine, Ezio Greggio decide che il bambino “si merita di avere una mamma vera e non una che dovrà occuparsene, ma non è la mamma vera”, distruggendo così tutte le istanze portate avanti dalle famiglie adottive nel corso del tempo e avallando il concetto per cui solo genitori biologici sono veri genitori. Non c’è molto da commentare.
Ultimo – ma non ultimo – problema è la pressione sociale che viene esercitata esclusivamente, o quantomeno prevalentemente sulle donne, in tema di genitorialità e responsabilità: nessuno ha minimamente pensato di fare appelli alla figura paterna, meramente accessoria a quanto sembra. Questa caccia alle streghe non doveva essere inflitta a chi ha deciso di compiere tale scelta, ma se è una donna a farlo deve essere esposta e perseguitata.
Il diritto di scelta diventa così un affare pubblico, tramite l’identikit della donna, gli appelli, le offerte di soldi per “tornare sui suoi passi”. Il problema, ad oggi, rimane il riconoscimento dell’autodeterminazione delle donne nelle scelte che riguardano i propri corpi. Quando impareremo a non parlare per le altre persone, a non giudicare le scelte altrui e a rispettarle? Quando una donna sarà libera di scegliere?
Dottoressa in Giurisprudenza, abilitata alla professione forense, con un Master in Studi e Politiche di Genere. È un'attivista digitale, crea contenuti legali per Chayn Italia, una piattaforma che si occupa di contrastare la violenza di genere utilizzando strumenti digitali, ed è membro della Redazione de Il ControVerso. Scrive su attualità, diritti umani, privacy e digitale, inclusione, gender gap, violenza di genere.
Attualmente lavora nel settore dell'editoria libraria.