“Sulle strade al mattino il troppo traffico mi sfianca; mi innervosiscono i semafori e gli stop, e la sera ritorno con malesseri speciali. Non servono tranquillanti o terapie, ci vuole un’altra vita”.
Dall’album “Orizzonti perduti”, “Un’altra vita”, 1983
La spiritualità come cifra distintiva della ricerca artistica e intellettuale di Battiato: questo è quel che emerge da un’oculata contemplazione della “coatta” socialità. Fin dall’anno di stimolo che fu il 1971, che egli stesso definì di crisi, Battiato perse i contatti con “questa realtà”, di cui aveva iniziato a disinteressarsi. Fu questo movente a portarlo a frequentare lezioni di meditazione e a leggere importanti mistici orientali come Sri Nisargadatta Maharaj, Sri Aurobindo e Ramana Maharshi.
Inoltre, intorno a quegli anni, fece la conoscenza di chi sarebbe stato per lui una guida spirituale e filosofica: il filosofo armeno Georges Ivanovič Gurdjieff. È doveroso, a tal proposito, rilevare che fu letto da Battiato il libro del suo allievo Petr Dem’janovič Ouspensky “Frammenti di un insegnamento sconosciuto. La testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G.I.Gurdjieff”.
Al seguito di una fase “sperimentale”, attenta alle “sequenze e frequenze” musicali, nel 1979 fu pubblicato il suo primo album appartenente alla fase “pop”: “L’era del cinghiale bianco”. Tale pubblicazione costituirà la genesi di una delle principali e più longeve collaborazioni artistiche di Battiato: quella con l’arrangiatore e violinista Giusto Pio.
La canzone, che dà titolo all’intero album, presenta, nel ritornello, una delle frasi più intriganti e misteriose del cantautore: “spero che ritorni presto l’era del cinghiale bianco”. Qual è il suo ruolo in un testo che sembra sviluppare un flusso di ricordi del cantante? È un simbolo – precisamente un simbolo celtico – che ravvisa, nel mistico e filosofo francese Renè Guenon, la spiritualità. Non sarà la prima volta che Battiato immetterà la simbologia nelle proprie opere; anzi, sarà una caratteristica ricorrente e significativa. La speranza che annuncia, sopra le note e gli assoli di violino di Pio, è conseguenza di un decadimento morale-religioso che avvolge la contemporaneità. Nello stesso album, a testimonianza di tale accorgimento, spicca “Magic shop”, che condivide, assieme al brano succitato, l’ispirazione all’esoterismo di Renè Guenon.
“C’è chi parte con un raga della sera e finisce per cantare la Paloma/ e giorni di digiuno silenzio per fare i cori nelle messe tipo Amanda Lear”.
-Magic Shop, dall’album “l’era del cinghiale bianco”, 1979
Amanda Lear rappresenta il profano che contamina la serietà liturgica. Da ciò si deduce l’esplicito disappunto di tale miscellanea, ironicamente spiattellato nel testo: “Una signora vende i corpi astrali, i Budda vanno sopra i comodini/ deduco da una frase del vangelo, che è meglio un imbianchino di Le Corbusier”.
Battiato, nell’81 era reduce dall’enorme successo esplosogli con “La voce del padrone”, primo posto per diciotto settimane e ancora oggi nella top degli album più venduti della musica italiana. Nonostante la portata del successo, il cantautore siciliano non perse il fervore compositivo e scritturale. Difatti, continuò a portare e comunicare la sua indagine meditativa e spirituale, riuscendo a far cantare e ballare canzoni con testi di levatura concettuale e filosofica (basti pensare a “Centro di gravità permanente”, fulcro della speculazione filosofica di Gurdjieff). “Scalo a Grado”, contenuta ne “L’arca di Noè”, album pubblicato nel 1982, prosegue l’osservazione già constatata nel ’79. In particolare, si fa riferimento, nella giornata di Pasqua, alla negligenza rituale che i frequentanti alla messa assumono: “gente fintamente assorta aspettava la redenzione dei peccati […] ci si illumina d’immenso mostrando un poco la lingua al prete che dà l’ostia/ ci si sente in paradiso cantando dei salmi un poco stonati”. La descrizione, tanto pungente quanto puntuale, consegna un’immagine della religiosità occidentale: non altro che una superficiale simulazione fideistica che deteriora la sacralità che la liturgia richiederebbe. Questo passaggio testimonierebbe l’esigenza di una rivalutazione e di una riscoperta di quel “cinghiale bianco” che decantava qualche anno prima.
Dal ‘71, anno di crisi identitaria poc’anzi presentato, si rinvigorisce in Battiato la convinzione della precarietà passeggera della vita. Non per niente, la sua ricerca venne definita da egli stesso dedita alla “non spazialità-atemporale”. Il rigetto di una realtà impostata e frenetica, in cui vige non altro che il mero consumismo, capace di mercificare “l’esoterismo” senza remore o ripensamento alcuno (come testimonia la succitata “Magic Shop”), risulta essere necessario per il cantautore, che inizia a presentire il bisogno di “un’altra vita”. Indicativo di tale direzione è il titolo dell’album dell’83, “Orizzonti perduti”. Oltre ad “un’altra vita”, è significativa “Gente in progresso”: “E tu che fai di sabato in questa città? Dove c’è gente che lavora per avere un mese all’anno di ferie”. O ancora “E poi nel bene, nel male, è una questione sociale/ coatti nella convivenza affrontiamo il progresso coi nostri problemi di sesso”. Riecheggia, in questo brano, il motto di “New Frontiers” di un anno prima, che afferma l’inutilità dell’evoluzione sociale, se non preceduta da un’evoluzione di pensiero.
Insomma, l’inettitudine sociale e la monotonia comportamentale risultano essere fiele per l’integrità della verità, oscurata dall’incombente divertissement compulsivo contemporaneo. Questa considerazione non abbandonerà Battiato neanche al seguito del sodalizio artistico con Manlio Sgalambro, filosofo siciliano, iniziato nel 1995; anzi, si accentuò, in forza del pessimismo nichilistico del filosofo, studioso, tra gli altri, di Arthur Schopenhauer. “Shock in my town”, brano del 98, recita: “Ho sentito urla di furore di generazioni senza più passato di neo-primitivi […] stiamo diventando come degli insetti, simili agli insetti”. Lo scialbore sociale viene maggiormente radicalizzato, in favore di una “animalizzazione” dell’uomo che attesta la perdita di raziocinio. La fiamma del progresso ci ha fatto diventare retrogradi, alimentando l’alba del “tramonto occidentale”.
Allora, al cospetto di questa lapidaria consapevolezza, Battiato si configura come pellegrino instancabile alla ricerca di quella “dimensione insondabile”, primordiale luce, specchio di suprema libertà. “Nomadi” è il testo in cui si dipana quanto sopra constatato:
“Nomadi che cercano gli angoli della tranquillità/ nelle nebbie del nord e nei tumulti delle civiltà/ tra i chiariscuri e la monotonia dei giorni che passano camminatore che vai/ cercando la pace al crepuscolo/ la troverai/ la troverai/ alla fine della strada”
Dall’album “Fisiognomica”, “Nomadi”, 1988
Franco Battiato avrebbe compiuto 78 anni.
Un encomio al nomade che, tramite le sue composizioni, ha tentato di nobilitare l’arida inclinazione spirituale della propria realtà, coniugando alla profusione di tale impegno l’ininterrotta ricerca dell’Assoluto. La “guarigione” scandisca la sua eternità.
Articolo molto interessante, piacevolissima lettura