Quando cade un quadro.
Se si dovesse provare a pensare alla sensazione che, forse più di tutte, lascia spaurito, attonito l’essere umano, senza ombra di dubbio, essa corrisponderebbe alla caduta di un quadro.
I quadri si appendono al muro per adornare una parete, una stanza o un’intera casa. Sono pieni di colori: è impossibile ignorare la loro presenza, rimanere impassibili quando gli si è innanzi, non accorgersi della bellezza che promanano.
Ogni quadro racconta una storia – d’amore, d’arte, di guerra, di passione – traboccante di meraviglia, al punto che tu stai là davanti, li ammiri, trascorreresti ore ed ore ed ore, senza renderti conto che le lancette dell’orologio corrono freneticamente, che il tempo – di tutti il peggior assassino – passa, falciando ogni secondo, scandendo ogni minuto con la sua proverbiale severità.
Eppure, il potere incommensurabile della bellezza è proprio questo: ti trattiene, ti adesca, ti seduce, facendo scivolare nel dimenticatoio tutte le brutture dell’esistenza umana, i piccoli traumi quotidiani che costellano le giornate di ciascuno di noi. La bellezza conforta, rasserena, ti abbraccia e, una volta conosciuta, non puoi fare più a meno di essa: ne hai ripetutamente bisogno e se, per quelle poche ore al giorno, non la tocchi, non la respiri, è come se ti mancasse un braccio, un occhio, una gamba, come se fossi in agonia, senza più possibilità di risalire a galla.
E poi, a volte, sei talmente fortunato che quella stessa bellezza la incontri in un essere umano; nelle sue parole, nei suoi gesti, nelle sue azioni, nei suoi abbracci, nei suoi sorrisi, ti capita di scorgere quello scintillio che si abbatte sulle punte di diamante quando vengono colpite da un raggio di sole: ti abbagliano, ma è un bagliore così denso di stupore che vorresti durasse per sempre. Questo genere di esseri umani sono paragonabili a dei quadri viventi: ti riempiono un intero appartamento, un intero museo o un’intera vita.
Andrea Fernandez, 34 anni, era esattamente così: un incantevole turbinio capace di travolgerti senza che nemmeno te ne accorgessi. Spalancava le porte della timidezza, facendo improvvisamente irruzione nella tua vita e colorandotela con le tinte più vivide: non esisteva giorno in cui non ti facesse sentire la sua vicinanza, non passava momento in cui insieme a lui non vivessi le avventure più strane, bizzarre, ma meravigliose che potessero succederti.
Andrea era detentore di quella bellezza, eppure non sapeva di esserlo: anche da lontano, avvertivi il suo attaccamento vorticoso alla vita, la voglia indomabile di “mangiarsi il mondo”, il desiderio di vivere di più, sempre di più, e sempre in compagnia delle persone cui voleva bene. Perché non bisogna mai arrossire o nascondere l’affetto che si nutre nei confronti degli altri, ma gridarlo a gran voce, con parole fervide, se occorre, ma mai conservare per sé nemmeno un brandello di tutto quel bene: si rischia che ammuffisca e non ne vale certamente la pena. L’insegnamento di Andrea, forse il più profondo ed incrollabile di tutti, è stato proprio questo.
Poi un giorno, quel quadro – il più bello di tutti, quello che non potevi fare a meno di guardare – crolla giù sul pavimento: così, all’improvviso, bum. E ti chiedi come sia possibile che i quadri – certi quadri – possano precipitare giù: proprio loro, i più belli, i più maestosi, i più grandi, quelli senza i quali la casa diventa del tutto vuota. È come se all’improvviso leggessi i giornali e scoprissi che è scoppiata la guerra, come quando al mattino ti svegli e ti trovi derubato di tutte le tue cose, senza che nessun ladro sia entrato: così, bum.
Un giorno soleggiato dell’estate del 2019, il quadro è caduto: la pancia di Andrea comincia a contrarsi, provocando in lui dei forti dolori. “Appendicite”, dicono i medici, “bisognerebbe che si ricoverasse”. Ma il sole, il mare, gli amici, la bellezza della vita sono più forti, prevaricano tutto; e Andrea, spensierato, va a Gallipoli.
Dagli alberi le foglie iniziano a cadere, ma c’è ancora quel tepore che rende gradevoli le giornate d’autunno. Eppure quelle di Andrea non sono così: viene, per la seconda volta in un anno, ricoverato in ospedale, senza una diagnosi certa: si oscilla tra morbo di crohn e diverticoli.
Sulla parte bassa dell’addome quello strano accumulo di cellule, dalla forma sferica, fuoriusciva sempre di più, e più su, la bocca dello stomaco iniziava a tormentarlo. Un gastroenterologo partenopeo scopre che il quadro è crollato: Andrea ha una massa tumorale mucinosa al colon retto al quarto stadio, una patologia che è solita svilupparsi nelle persone di età avanzata ed estremamente rara nei giovani e che, ad oggi, non ha protocolli di cura idonei.
La prima cosa cui penseresti se davanti a te precipitasse un quadro sarebbe il modo in cui riappenderlo al chiodo, per restituirgli la bellezza che, in quei frammenti di tempo, non ha potuto diffondere. E il quadro fu riagganciato al chiodo: nel bel mezzo del 2020, l’intestino di Andrea è finalmente privo di quella turpitudine che lo aveva deturpato.
Ma il chiodo è fragile, non regge un quadro che, seppur solcato da cicatrici, continua a risplendere; il chiodo si spezza e di nuovo il quadro si accascia sul pavimento.
Si sa, per soccorrere la bellezza si è disposti a far di tutto: ci si reca dai migliori restauratori, essendo disposti ad andare in capo al mondo, non ponendosi alcun limite, soprattutto quando la crepa del quadro, sottilmente, subdolamente, si dilata sempre di più.
La crepa intacca persino la schiena, compromettendo una delle vene principali e rendendo la situazione ancora più complessa. Ma Andrea non si arrende, vuole tornare a splendere, si aggrappa alla vita, a quella vita straordinaria e superlativa che non vede l’ora di tornare a vivere.
Nel maggio 2022, un ospedale partenopeo emana il suo verdetto: non c’è nulla da fare, il quadro è distrutto, è inutile anche solo tentare di restaurarlo. E allora ci si rivolge ad altri lidi, rincorrendo anche la più flebile speranza, il miraggio di un’esistenza normale, come quella prima del crollo.
E una luce in fondo al tunnel, anche se fioca, si scorge e, come un treno, ci si dirige verso di essa. Andrea conosce una dottoressa, una di quelle guerriere impavide e coraggiose che gli offre la possibilità di tentare il tutto per tutto, con un intervento di esorbitante complessità. In piena estate, quando si boccheggia dal caldo, ma il sole sfolgora in cielo, anche Andrea rinasce come la più ridente delle stelle.
Ma le stelle, tutte, persino quelle più adamantine e luminose, ad un certo punto esplodono, muoiono, essendo assorbite da un lugubre buco nero che risucchia ogni briciola di luce, che porta via ogni rimasuglio di bagliore. Persino le stelle sono prigioniere del tempo che scorre inesorabile. Perché proprio il tempo – quest’omicida dai mille coltelli affilati come lancette di un orologio – ha mosso la pedina dello scacco matto.
Prima di quella fatale mossa, però, Andrea aveva scorto un altro fievole barlume in fondo al tunnel: dopo innumerevoli ricerche, è emerso che l’ospedale Niguarda di Milano aveva avviato un protocollo sperimentale, al di fuori di tutti i protocolli già esistenti e riguardante proprio l’innescarsi di tumori rari nei giovani, in particolare al colon-retto. L’ospedale meneghino aveva considerato Andrea come “arruolabile”, non solo per condurre nel miglior modo quella ricerca, ma per restituire la speranza a moltissimi giovani precipitati nello stesso terrificante vortice.
In quest’apocalittica gara contro il tempo, purtroppo quest’ultimo ha avuto la meglio: Andrea se n’è andato esattamente tre giorni prima di recarsi in quell’ospedale, ma ha avuto la possibilità di esprimere i suoi ultimi desideri: donare, donare quanto più si può per la ricerca, affinché nessun giovane – e, in generale, alcun essere umano – viva la sua stessa sofferenza, il suo stesso dolore.
È vero, il quadro è caduto, ma la sua memoria rimarrà indelebile fino alla fine del tempo.
In allegato, di seguito, il link per prender parte e fare un’offerta per aiutare la ricerca. Diventiamo tutti amici di Andrea.
https://www.gofundme.com/f/DiventaAmicoDiAndrea