«E affermi Protagora che alcuni uomini vivano bene, altri male?» Disse di sì. «Ti pare dunque che un uomo vivrebbe bene se passasse la vita in preda a dolori e sofferenze?» Disse di no. «E se concludesse la sua esistenza dopo aver vissuto piacevolmente? Non ti sembra che così sarebbe vissuto bene?» Eh sì, disse. «Dunque vivere piacevolmente è bene, spiacevolmente è male.» «Sempre che sia una vita passata fra piaceri nobili.» «Ma come, Protagora! Anche tu, come i più, chiami cattive alcune cose piacevoli e buone alcune cose dolorose? Intendo dire: in quanto piacevoli non sono forse, sotto questo rispetto, buone, se si prescinde dalle eventuali conseguenze che ne derivano? E a loro volta, similmente, le cose dolorose non sono forse – in quanto dolore – cattive?»
Il suddetto passo del “Protagora” è presente nella sezione 351-c, posta a seguito della riproposta da parte di Socrate, dopo aver discusso della poesia di Simonide, della considerazione protagorea della virtù, caratterizzata da cinque componenti (saggezza, sapienza, santità, giustizia e coraggio) che, per il sofista, sono parti di essa ma dissimili tra loro e dal tutto di cui fanno parte (similitudine del viso). A seguire Socrate pone la domanda sul motivo per cui alcuni uomini vivano bene e altri male: vivere piacevolmente sembra corrispondere, per Protagora, al bene; vivere tra dolori e sofferenze, il male. La risposta indigna il filosofo, che constata la vicinanza della risposta del sofista alla considerazione comune dei molti: da qui Socrate inizierà ad indagare proprio su suddetta opinione, spiegando, assieme a Protagora, la sua posizione ad un fittizio interlocutore, “i più”, i quali sostengono che a guidare la vita degli uomini siano i piaceri e i dolori, da cui vengono sopraffatti, e che sono convinti sia possibile compiere il male volontariamente. Per Socrate, al contrario, oltre la conoscenza, è presente una condizione sufficiente e necessaria, l’arte della misurazione, la quale permette di scegliere con lungimiranza i beni e i piaceri, i quali non è detto siano rispettivamente bene e male, ma possono alternarsi (i piaceri possono portare dolori successivi e viceversa). Socrate nell’esplicare questa tesi presenta un uomo la cui dimensione sostanziale è il piacere (presunto edonismo socratico). Quindi, per il filosofo, piacere e dolore possono proprio essere commisurati con episteme, con l’arte della misurazione. Il nucleo filosofico, ancora oggi dibattuto, legato a questa considerazione è se davvero Socrate, e Platone suo allievo, possano aver aderito a quest’arte: per alcuni è solo un modo di veicolare un messaggio e vincere i sofisti; per altri, è una considerazione giovanile di Platone che nei dialoghi successivi supererà.