Inizio giugno 2022. Centinaia di video si accumulano sotto l’hashtag #boilersummercup. La sfida dell’estate è “rimorchiare un boiler”. Cos’è un boiler? Una ragazza. La ragazza più grassa del locale. Trovarla, avvicinarla, toccarla, magari baciarla, magari, portarla a letto. Il tutto va necessariamente ripreso con il telefonino e postato sui social, per poter vincere così la cup dell’estate: aver abbordato la ragazza più brutta che c’è. Perché in una società malata di un’asfissiante forma di grassofobia, se sei la ragazza più grassa sarai, per forza, la più brutta.
La sfida ha delle regole perché per decretare il vincitore su un palcoscenico di virali umiliazioni, non ci si può certo affidare al caso.
Si legge quindi: 80/90kg valgono 1 punto; 90/100kg valgono 2 punti; 100/110kg valgono 3 punti; oltre i 110 kg, la ragazza vale ben 5 punti.
È lecito domandarsi: perché una ragazza dovrebbe essere disposta a farsi avvicinare e riprendere da telefonini e poi ad essere condivisa sui social dove ci sono i giudici ufficiali del “boiler vincente”? la risposta è tanto semplice quanto è profonda la distanza che ci separa da un’utopica cultura del consenso: la ragazza non sa nulla, ed è solo, esclusivamente, vittima.
“ho toccato una boiler da 130 kg ”.
“io non riesco ad andare oltre i 70 kg ”.
Video e commenti impazzano su TikTok.
“dopo questa cosa ho letteralmente paura di andare in discoteca o scrivermi con uno”.
“ormai ho paura anche ad uscire”.
Inizio luglio 2022. TikTok limita la diffusione dei video #boilersummercup ed i video smettono di circolare. Ma cosa ne resta delle riprese e dei punteggi? Le vittime della boiler summer cup continuano ad aver paura di uscire di casa, ad avere paura del giudizio, ad avere paura delle umiliazioni. Perché se prima temevano il bullismo e la violenza manifesta, adesso perfino affidarsi risulta un rischio in una folla che ridendo sceglie di disumanizzare sulla base del peso di partenza.
Se la boiler summer cup e le migliaia di condivisioni che l’hanno accompagnata hanno tolto la maschera dalla grassofobia che regna nella società italiana, e non è certo la prima volta che i corpi femminili considerati non conformi diventano oggetto di sfida perdendo ogni soggettività agli occhi di chi ridendo, ci “gioca”.
Nel 2003, in America, si parla di “Hogging”. Anche qui c’è una competizione: un gruppo di uomini cerca di rimorchiare la ragazza più grassa del locale per accumulare più punti possibili. Il vincitore non si limiterà ad avere rapporti sessuali con la sua preda ma aspetterà che i suoi amici lo raggiungano nella stanza durante il sesso così che loro possano piombare in stanza grugnendo contro la donna fino a che lei, umiliata, non deciderà di correre via dalla stanza.
Sempre negli ultimi anni, altri gruppi di ragazzi hanno inventato quello che hanno deciso di chiamare il “pig rodeo”: quello che è considerato dagli amici l’eroe della serata porterà in hotel la vittima per avere rapporti sessuali, il gruppo, nascosto, filmerà e cronometrerà il tutto per assegnare dei punti sulla base di quanto l’uomo riuscirà a trattenere la donna.
Le sfide, le competizioni e le risate collettive sui corpi femminili non sono mosse solo da una società misogena e disumanizzata, ma anche dalla convinzione che una donna che non rientra negli schemi di bellezza imposti sia alla costante ricerca di attenzioni e che quelle ottenute attraverso queste sfide siano le uniche a cui possa, di fatto, ambire.
L’oggettificazione e la disumanizzazione dei corpi diventano così virali, normalizzati, accettati e condivisi. Un corpo considerato grasso è un corpo considerato meno umano. Un corpo considerato grasso è un corpo considerato senza soggetto e senza dignità. Questo accade sui social ma accade tutti i giorni e accade nella vita vera quando la folla connivente ride a battute marginalizzanti, accade quando, nelle aule di tribunale, le vittime di stupri o violenze se grasse non vengono considerate credibili perché considerate, automaticamente, poco desiderabili.
In questa società è ogni giorno il giorno in cui la grassofobia si fa spazio, e lo fa percorrendo la strada della normalizzazione e gli sguardi di chi sceglie di ridere guardando tutto ciò.