Morti e migrazioni: come si è arrivati alla strage di Melilla?

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Guardare all’ennesima strage di migranti ci muove un’onda di tristezza e indignazione. Per poter smettere di gridare alla fatalità, però, abbiamo bisogno di ripercorrere il moto che ha portato ad ogni vita interrotta. Solo ricostruendo il percorso potremo smetterla di accatastare passivamente corpi morti nelle nostre menti, che ormai non riescono più a tenerne il conto. Ed è unicamente attraverso la consapevolezza di cosa ha ucciso ogni corpo sotterrato o andato a fondo che riusciremo a vedere il muro di impenetrabile disinteresse che l’Europa si è costruita attorno e in cui ci ha barricati. 

Il 24 giugno alla frontiera di Melilla, enclave spagnola in Marocco, i feriti non riescono a contarsi. I morti, invece, finora sono 18, dicono le autorità marocchine, ma le ONG ne contano molti di più, almeno 37. Ogni giorno che passa i numeri aumentano. È un venerdì, il 24 giugno, e circa 2.000 migranti in fuga arrivano al confine di Melilla e cercano di entrare. Ad accoglierli, però, solo armi. I testimoni vogliono raccontare “c’erano mani e piedi rotti, pelle strappata”. Molte persone che tentavano il passaggio sono state uccise di botte, altre sono morte soffocate, altre schiacciate nella recinzione del perimetro. Una carneficina causata dalle forze di polizia marocchine e spagnole che ha poi catturato centinaia di migranti per accatastarli, stesi, uno sopra l’altro. La Moroccan Association for Human Rights (AMDH) ha diffuso diversi video che hanno permesso al mondo di guardare ogni atrocità, i corpi feriti e ammassati colpiti gratuitamente, alcuni forse addirittura già morti.

Le vittime della tragedia di Melilla hanno agonizzato per ore sotto lo sguardo crudele di chi avrebbe dovuto aiutarle e non l’ha fatto” riferisce Helena Maleno Garzón, dell’ONG Caminando Fronteras. “E’ un vero disastro che ha mostrato le prime conseguenze degli ultimi accordi tra Spagna e Marocco”.

È necessario guardare proprio a questi accordi per comprendere come questa ennesima strage sia potuta avvenire proprio alle porte europee. Per comprendere come mai, così tanti corpi, continuino a fermarsi ad un unico fatale passo dall’Europa.

La controversia tra Spagna e Marocco inizia nel 1975 e i suoi epiloghi ci aiuteranno a capire perché, seppur vicina, la morte di ogni migrante ci appare così lontana da non indurci a guardare alle macchie di sangue sulle nostre stesse mani. 

 Nel 1975 inizia la decolonizzazione del Sahara Occidentale: la Spagna lascia il territorio, ma Marocco e Mauritania vi impongono la sovranità impedendo qualsiasi referendum di autodeterminazione. Nel corso dell’anno il Marocco occupa il territorio lasciandone solo un terzo alla Repubblica Araba Democratica Saharawi, rappresentata dal Fronte Polisario. La divisione è netta: nel 1980 viene costruito un muro lungo 2.200km. La guerra tra il Fronte Polisario e il Marocco va avanti fino a quando, nel 1988, l’ONU decide di intervenire consentendo il raggiungimento di un accordo per cui ci sarebbe stato il cessate il fuoco e un referendum che consentisse al popolo del Sahara Occidentale di scegliere tra indipendenza o integrazione al Marocco. Il referendum, però, non si è mai fatto, ma è stato continuamente osteggiato dal Marocco che ha potuto agire impunito perché sostenuto politicamente ed economicamente da Spagna, Francia e Stati Uniti. Nonostante la Spagna si sia sempre dichiarata formalmente favorevole all’indipendenza del popolo Saharawi, infatti, ha sempre portato avanti accordi commerciali con il Marocco proprio per lo sfruttamento del Sahara occupato.

Nel 2021 il leader del Fronte Polisario B. Ghali viene ricoverato a causa del Covid in un ospedale sul territorio spagnolo. Il re marocchino Mohamed VI interpreta la presenza del leader del Fronte Polisario in territorio spagnolo come una minaccia all’implicita collaborazione tra Marocco e Spagna, e decide di interrompere i controlli sulle frontiere facilitando così il passaggio di 8.000 migranti in territorio europeo, che sarebbero stati altrimenti fermati dalle forze di occupazione marocchine. I rapporti tra Spagna e Marocco si raffreddano.

La Spagna elabora un nuovo piano di accoglienza e accordi di rimpatrio con i paesi di origine dei migranti. Tuttavia, a causa del Covid e delle relazioni tese con il Marocco che impediscono dei rapidi collegamenti, la Spagna ha difficoltà nella deportazione dei migranti che varcano le sue porte. Inizia quindi una fase di trattamenti disumani perpetuati direttamente dalla Spagna, soprattutto sulle isole Canarie dove migliaia di migranti vengono trattenuti per mesi senza accesso a beni e servizi primari e trattati brutalmente dalla polizia spagnola che ha anche proceduto al trasferimento in carcere di alcuni migranti senza che alcun processo fosse stato condotto.

La Spagna vuole riavviare velocemente le deportazioni dei migranti riusciti ad entrare sul proprio territorio e decide quindi di ricucire i rapporti con il Marocco. Pedro Sanchez, presidente del governo spagnolo, dichiara quindi di riconoscere “l’importanza della questione del Sahara per il Marocco“ e che “la Spagna considera il piano di autonomia marocchino, presentato nel 2007, come la base più seria, realistica e credibile per la risoluzione della controversia“. La Spagna pone così un enorme ostacolo ai diritti di autodeterminazione del popolo Saharawi che da oltre 40 anni si batte per raggiungere la propria indipendenza. D’altro canto, i migranti hanno già iniziato ad incontrare repressioni sempre più dure nel tentativo di avvicinarsi al territori europeo, come la strage di Melilla di pochi giorni fa ci ha dimostrato. I respingimenti sono massicci, brutali ed incondizionati: tra le persone respinte, e le pochissime persone che sono riuscite ad entrare a Melilla, c’è una maggioranza di sudanesi, che avrebbero invece diritto alla protezione internazionale secondo l’ONU perché il ritorno in Sudan li metterebbe in pericolo di morte o persecuzioni. 

Gli interessi spagnoli, però, vincono su tutto. Rimangono prioritari per lo Stato così come rimangono prioritari per l’Unione Europea che punta ad allontanare quanto più possibile la qualsiasi corrente migratoria dalle porte europee. Sulle mani comunitarie, però, l’Unione vuole che rimanga un guanto bianco: si rinforzano così le politiche razziste di “esternalizzazione delle frontiere”. Il confine di influenza Europea si allarga, l’Unione tiene lontani i migranti utilizzando come recinto i confini di altri Stati come il Marocco, la Libia, la Tunisia o la Turchia. Così mentre ONG, associazioni, attivisti e numeri incontenibili di morti continuano ad urlare la necessità di creare canali sicuri per consentire alle persone di spostarsi in sicurezza, l’Europa continua a respingere ogni ingresso nascondendosi dietro feroci retoriche contro l’immigrazione irregolare rifiutandosi di guardare, come anche questo caso dimostra, all’impossibilità di entrare entro gli spinati confini europei nonostante la protezione del diritto internazionale.

I dati raccolti dall’ONG Caminando Fronteras ci mostrano che negli ultimi due anni sono oltre 6.500 le persone che sono morte nel tentativo di arrivare sui confini spagnoli. 

Ciò nonostante, e malgrado la strage di Melilla avvenuta solo pochi giorni fa, la dialettica europea non si guarda indietro: “vorrei ringraziare, a nome del governo spagnolo, la straordinaria cooperazione che stiamo avendo con il Regno del Marocco e che dimostra la necessità di avere il meglio delle relazioni, una stretta collaborazione anche in materia interna, nella lotta contro l’immigrazione irregolare, che, purtroppo, è stata subita oggi nella città autonoma di Melilla”, racconta il Presidente del Governo spagnolo ai giornalisti. 

L’Europa continua così a trincerarsi dietro il suo muro di indifferenza, impenetrabile dall’esterno e invalicabile dall’interno, girando le spalle a tutto ciò che avviene al di fuori dei suoi confini, in quel mondo di cui tira i fili e che sventolando la bandiera della pace decide di non raccontarci.

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