Il 27 giugno del 2022 l’Italia ha votato, con una grande maggioranza, per il rinnovo del Memorandum di intesa tra Italia e Libia. Ha confermato, cioè, quegli accordi che dal 2017 prevedono il versamento di ingenti somme di denaro per ostacolare il passaggio di migranti e rifugiati dalle coste libiche a quelle italiane. Il Memorandum – ufficialmente “Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana“- si è rivelato essere in realtà ben altro che un accordo per contrastare il traffico illegale di esseri umani. Con i fondi italiani, ad oggi parliamo di 200 milioni di euro, vengono infatti finanziati non solo addestramenti, centri di coordinamento e motovedette che la guardia costiera libica utilizza per pattugliare in veci italiane il Mediterraneo, ma sono anche finanziati quelli che vengono definiti “centri di accoglienza”. Tuttavia, già dal 2017, è chiaro che quelli che ospitano migranti e rifugiati sul territorio libico non sono centri di accoglienza, ma veri e propri centri di detenzione.
I migranti, intercettati in mare o ancora prima di partire, vengono immediatamente prelevati dalla guardia costiera libica e spostati in massa nei centri di detenzione dove subiscono abusi e violenze di ogni tipo e sono spesso costretti a lavori forzati. I migranti, uomini, donne e bambini, rimangono chiusi in quelli che sono veri e propri spazi di prigionia per un tempo indeterminato e in condizioni igieniche inesistenti. Non è loro garantito alcun diritto, spesso non viene loro concesso né cibo né acqua per giorni. Non è permesso loro di accedere ad assistenza medica e spesso muoiono in gravi condizioni di salute, per deperimento o malattie infettive, a pochi centimetri di distanza da tutti gli altri migranti detenuti nel centro, che per tempo indefinito continuano a convivere con i corpi morti dei loro compagni. Le inchieste, le testimonianze e le riprese delle condizioni disumane in cui queste persone sono costrette a tentare di sopravvivere si sono susseguite con rapidità allarmante. Già nel 2018 è lo stesso ONU a denunciare le gravissime violazioni di diritti umani che vengono perpetuate impunemente da “funzionari pubblici, miliziani che fanno parte di gruppi armati e trafficanti”. Nel rapporto delle Nazioni Unite si legge: “reclusione arbitraria, percosse, bruciature con ferri caldi, torture con cavi elettrici, molestie e violenze sessuali, con l’obiettivo di estorcere soldi alle famiglie attraverso un sistema complesso di money transfer. Spesso alcuni di loro sono venduti e comprati da diversi gruppi criminali e gli viene chiesto di pagare dei riscatti prima di essere portati sulla costa per provare a fare la traversata. Le donne e le ragazze hanno raccontato all’Unsmil[1] di aver subìto violenze di gruppo o di aver assistito alle violenze subite da altre”. Il rapporto dell’ONU continua: “una donna di 22 anni, che è stata portata al centro di detenzione governativo di Surman, in Libia, dopo essere stata intercettata durante la traversata del Mediterraneo, è stata torturata da due guardie. È stata costretta a spogliarsi, poi gli sono state legate le caviglie con due corde, la testa fermata da una barra di ferro. Poi è stata picchiata con dei tubi di metallo. Quando ha parlato con i funzionari delle Nazioni Unite aveva ancora i segni delle torture sulle caviglie e sul ventre, più di un anno dopo”. I numeri del 2021 ci parlano di 32.425 rifugiati e migranti catturati in mare dalla guardia costiera libica e riportati in Libia, il tutto con il sostegno dell’Italia. 1553 sono le persone morte o scomparse nel Mediterraneo centrale.
La guardia costiera libica, i trafficanti, i gestori dei centri di detenzione, sono tutti collegati. Il sistema finanziato dall’Italia che mira a bloccare il flusso di migranti alla sua fonte è lo stesso sistema che ne viola ogni diritto. I centri di detenzione libici, infatti, sono spesso gestiti dagli stessi trafficanti, che non di rado coincidono con la guardia costiera da noi finanziata. Questo è il caso di Bija, altissimo ufficiale della guardia costiera libica, in passato arrestato per traffico di essere umani e con a carico un mandato di cattura internazionale.
Nel rapporto del 2021 di Amnesty International si legge: “dimostrando l’impunità che vige in Libia, la nuova ricerca di Amnesty International rivela come dalla fine del 2020 le autorità libiche abbiano legittimato luoghi non ufficiali di prigionia che avevano alle spalle storie di violazioni nei confronti di rifugiati e migranti, per cui non è mai stata fatta giustizia, integrandoli nel sistema dei centri ufficiali di detenzione per migranti. Nel 2020, Amnesty International e altre organizzazioni avevano dato l’allarme sulle sparizioni forzate di migliaia tra rifugiati e migranti, a seguito della loro intercettazione in mare da parte dei guardacoste libici supportati dall’Ue, del loro sbarco in Libia e del loro trasferimento in luoghi di detenzione non ufficiali sotto il controllo delle milizie. Invece di condurre indagini adeguate e rendere note le sorti e il luogo in cui si trovano le vittime, le autorità libiche hanno trasformato due ex siti di sparizioni forzate in centri di detenzione formalmente sotto il controllo della direzione per la lotta alla migrazione illegale (Directorate for Combating Illegal Migration – Dcim), presso il ministero degli Interni”.
Dopo oltre 5 anni di testimonianze, documentazioni e racconti provenienti dai campi di prigionia libici, l’Italia, e con lei i circa 600 deputati a sua rappresentanza favorevoli al memorandum Italia-Libia, continuano a fingere sorpresa o manifestare disinteresse nei confronti delle disumane violenze che la Libia perpetua senza sosta. La cooperazione che l’Italia, sostenuta dall’Europa, mette in campo per evitare che i migranti raggiungano le coste del paese risulta non solo indifendibile ma anche in completa violazione di ogni diritto umano di cui l’Unione si fa portavoce. L’Italia, e con lei l’Unione Europea, è infatti perfettamente consapevole degli abusi e delle violenze che attendono i migranti e i rifugiati in territorio libico, ciò nonostante, e nonostante il diritto internazionale vieti chiaramente di lasciare che le persone tornino in luoghi in cui diritti e vite sono a rischio, l’Italia non solo sceglie di ignorare tali atrocità, ma continua a finanziare da anni chi le perpetua.
[1] Missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia