Con 178 sì, 4 astenuti e 5 contrari, il Senato ha approvato il disegno di legge che permette agli studenti di iscriversi a due corsi di laurea contemporaneamente, facendo cadere un divieto che risaliva al ben lontano 1933. Alla luce dell’attuale mercato del lavoro, siamo sicuri che sia una conquista?
A cosa ci si può iscrivere, come e dove
La nuova legge consente di effettuare l’iscrizione a: due diversi corsi di laurea – di laurea magistrale o di master – anche presso più università, scuole o istituti superiori a ordinamento speciale; un corso di laurea o di laurea magistrale e ad un corso di master, di dottorato di ricerca o di specializzazione, ad eccezione dei corsi di specializzazione medica; un corso di dottorato di ricerca o di master e ad un corso di specializzazione medica. Restano fermi gli obblighi di possesso dei titoli richiesti dai singoli atenei per i vari percorsi ma, salvo questi ultimi, le iscrizioni coeve sono possibili sia solo presso istituzioni italiane, quanto presso istituzioni italiane ed estere. Non è possibile, invece, iscriversi a corsi della stessa classe di laurea o al medesimo master in due atenei diversi; così come non è possibile procedere con più dottorati di ricerca.
Le opportunità sono notevoli, ma ci si è chiesti immediatamente cosa succeda a livello economico. Sul punto, c’è ancora da lavorare. Per il momento, lo studente può usufruire delle agevolazioni già previste per garantire il diritto allo studio, perciò – se in base al proprio ISEE – ha diritto ad un esonero totale o parziale dal versamento delle tasse universitarie, ne potrà beneficiare per entrambi i corsi di laurea. Per quanto riguarda le borse di studio e i posti alloggio, eventuali assegnazioni sono previste solo per un percorso di studi, a scelta dello studente.
Non viene specificato nulla rispetto a tutti gli altri che, pur non rientrando nei requisiti richiesti, decidono di intraprendere la doppia formazione. Le Università sono lasciate libere di decidere se applicare una scontistica, secondo proprie valutazioni discrezionali. Il Ministero, entro 60 giorni, deve emanare un decreto attuativo che disciplini le modalità e i criteri del nuovo sistema, così da chiarire come gestire quei corsi con frequenza obbligatoria e nulla esclude che non possa chiarire e/o introdurre nuove agevolazioni finanziarie.
Le dichiarazioni sulla nuova disciplina
Il relatore alla Camera della proposta di legge, Alessandro Fusacchia, ha declamato con forza il risultato raggiunto, affermando: «Finalmente diamo più opportunità di formazione a tanti ragazzi e ragazze che per realizzare i loro sogni avranno sempre più bisogno di acquisire competenze e saperi anche molto distanti tra loro». Per il Deputato, sono tre le priorità su cui lavorare nell’immediato, perché bisogna far sì che l’attuazione proceda spedita nelle prossime settimane; si devono garantire eguali condizioni di accesso affinché nessuno studente meritevole rinunci alla doppia iscrizione per ragioni economiche; ed infine, serve spingere su un’adeguata attività di orientamento così da informare correttamente i giovani circa gli obiettivi formativi dei singoli percorsi e i concreti sbocchi occupazionali.
La Ministra dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa, ritiene la riforma: «Un grande risultato che consente al nostro Paese di fare un passo in avanti nella formazione universitaria, in linea con il contesto internazionale» e si pone in linea con gli altri interventi già programmati, specie l’interdisciplinarietà delle classi di laurea e i titoli abilitanti per le professioni. Tra tre anni il Ministero dovrà relazione al Parlamento circa il numero di studenti iscritti a due corsi di laurea, le rinunce agli studi e i fuori corso, l’effettivo ingresso nel mondo del lavoro e il livello di istruzione raggiunto per coloro che scelgono la doppia iscrizione.
Il lavoro e la società della performance
La nuova legge è stata festeggiata con gran clamore, ma bisognerebbe guardare con criticità all’attuale mercato del lavoro per comprenderne la portata applicativa. La riforma permette all’Italia di adeguarsi ai parametri internazionali, certo – bello, bellissimo – però tutto questo come si traduce realmente? Sulle ricadute economiche non si può dire nulla più di quanto già sopra specificato, anche perché bisogna attendere le nuove misure e sarebbe inutile pronunciarsi prima su un qualcosa che non è stato ancora deciso. Per spunto al Ministero, si potrebbe suggerire di non lasciare gli atenei liberi di scegliere se applicare o meno una scontistica, quanto piuttosto di imporne una per chi procede con la doppia iscrizione. Sarebbe un’idea.
Ciò che preoccupa è l’iperqualificazione che, inevitabilmente, il mercato del lavoro richiederà, creando ulteriori barriere all’ingresso. Parliamoci chiaro: cosa c’è scritto negli attuali annunci? Uscite da qui, aprite il primo che vi capita a tiro e leggerete qualcosa di simile a: ” il candidato ideale deve essere in possesso di laurea magistrale – magari anche con un certo voto minimo -, master di II livello, ottima conoscenza delle lingue inglese e francese, sia scritte che parlate, esperienza lavorativa di almeno tre anni presso altre aziende del settore o nella specifica mansione, ecc. Il tutto entro i 30 anni.” Chiaramente, l’intento è sarcastico ma non molto lontano dalla realtà che gli eterni giovani si trovano ad affrontare ogni giorno. Di conseguenza, appar lecito provare solo ad immaginare quello che succederà tra qualche anno. Quanti soldi bisogna spendere prima di trovare lavoro? Quanti titoli bisogna possedere prima di essere degni di avere un’opportunità? Quanto tempo bisogna spendere a formarsi e a fronte di quali inserimenti? Stage, con o senza rimborsi spese, contratti a tempo, collaborazioni per pura voglia di imparare e di mettersi in gioco? Per quanto saremo giovani?
Sembrano domande retoriche e velate da un forte pessimismo, ma sarebbe sufficiente guardarsi intorno per capire che si tratti del riflesso dell’odierna situazione economica. L’adeguamento della normativa italiana a quella internazionale è ammirevole e necessaria, considerando anche l’appartenenza all’UE e alla dimensione sempre più globale di ogni aspetto della vita, però – alla luce dei dati sulla disoccupazione giovanile, gli effetti della pandemia, il crollo delle nascite, i mancati acquisti di case ed automobili, la crisi e le difficoltà ora scaturenti dai conflitti a noi più vicini – sembra assurdo intervenire ancora sulla formazione e non sul lavoro. E’ come se ancora una volta si scaricasse sulle ultime generazioni l’incombenza di dover fare di più e la responsabilità paradossale di non aver fatto abbastanza, perché “bamboccioni” ci restano per forza se non vengono impiegati. Per non parlare delle libere professioni, completamente dimenticate e abbandonate a loro stesse.
Sarà interessante vedere come si evolverà il mercato del lavoro e quanto inciderà la riforma. Il problema è che mentre per alcuni questo vorrà dire effettuare indagini statistiche e sociologiche con numeri e dati, per altri si tratterà di vita vera, di progetti personali e di crescita, che chissà quando arriveranno in una società che sta facendo di tutto per diventare sempre più elitaria e classista.
Prat. Avv. iscritta presso il Foro di Napoli Nord, con esperienza maturata in ambito penalistico.
Autrice del podcast "Basta che sia penale" e membro della Redazione de Il Controverso.
Scrive di politica, di diritti e di cultura, perché il cinema e la letteratura arrivano lì dove nient'altro riesce.