Questa è l’iniziativa che sta vedendo muovere i suoi passi a Napoli, patria del miglior caffè (e non solo di quello) nel nostro Paese.
A portare avanti l’iniziativa è il Gambrinus, celeberrimo bar della città partenopea situato nella altrettanto famosa via Toledo. L’iniziativa è partita circa un biennio fa, inizialmente solo come una raccolta firme per riconoscere al “caffè alla napoletana”, ossia il caffè preparato a Napoli, il titolo di patrimonio immateriale dell’umanità, come è già recentemente accaduto alla pizza.
Per caffè alla napoletana si intende sia quello nella classica moka casalinga con il tipo di acqua che si trova al sud – arma vincente anche nell’impasto della pizza – ma soprattutto quello nel settore professionale: l’attenzione alla tostatura dei chicchi e l’apposita attrezzatura da bar che, ricordiamo, è diversa nel settentrione e nel meridione di Italia. Tant’è vero che le note macchine da caffè a più braccia – che in Campania chi gestisce un bar ben conosce – sono prodotte prevalentemente da aziende del sud ed hanno una pressione differente e maggiore di quelle usate al Nord: è questo ciò che contribuisce al classico caffè stretto napoletano, con il suo aroma, la sua densità e cremosità nota in tutto il mondo.
L’iniziativa doveva essere inizialmente solo una raccolta firme per lanciare una petizione allo stato, affinché considerasse l’ipotesi di inserire il caffè napoletano nella lista dei papabili candidati a patrimonio dell’umanità. Tuttavia, in un breve lasso di tempo, in cui vi è stato anche il Covid nel mezzo (che però non pare aver rallentato più di tanto la faccenda) la raccolta firme è stata esponenziale, tant’è che l’interesse sia del Ministero apposito sia la volontà del proprietario del Gambrinus si sono fatte sempre più serie e concrete.
Da un anno circa, infatti, dopo l’emergenza sanitaria, il locale che fa le veci di interlocutore di questa proposta ed il ministero che, un po’ a sorpresa, è quello dell’Agricoltura (essendo la materia trattata, cioè il caffè, di competenza dello stesso) stanno dialogando per costruire un dossier ad hoc da inviare alla candidatura ufficiale del 2022 che si terrà a Parigi, dove anche la città francese concorrerà in qualità di candidata ad essere parte del patrimonio UNESCO.
La candidatura del caffè non sembra avere altre rivali, al contrario affiora un solo problema burocratico, potremmo dire all’italiana: pare che in date simili sia stata presentata al ministero, sotto forma di iniziativa aziendale, dai proprietari del marchio del Caffè Espresso, l’analoga richiesta di candidatura come patrimonio dell’Unesco sotto la dicitura di “caffè italiano”. Si tratta palesemente di una strategia di marketing, anche vincente a dire il vero, ma è l’esatto contrario dello spirito di candidatura e del moto spontaneo e popolare creato a Napoli intorno al caffè napoletano – o potremmo dire espresso napoletano.
Il Ministero, dal suo canto, trovandosi una bella gatta da pelare, ha optato per unire le due candidature sotto una soltanto, scegliendo come nominativo la versione proposta dalle aziende rifacentesi comunque al modo napoletano di preparazione, ma intendendo espressamente come caffè italiano quello preparato proprio nella capitale del sud, la inimitabile città partenopea.
Un compromesso che mette un po’ d’accordo tutti, ma che ha rallentato i lavori e richiesto qualche mese di preparazione ulteriore. I motivi per cui le aziende non hanno fatto un passo indietro rispetto al moto popolare spontaneo è presto comprensibile; al contrario non si capisce perché il Ministero, interpretando la linea parlamentare, non abbia optato seccamente per l’opzione napoletana pura.
Il sospetto di fastidio con tratti di astio nei confronti della candidatura napoletana potrebbe forse spiegarsi con la presenza dei leghisti nelle apposite commissioni ministeriali di valutazione o nella loro presenza governativa. E questa pare essere di più di una semplice opzione o illazione, stando alle voci che nel palazzo spifferano tra le porte, i corridoi e arrivano alle orecchie di chi sa ascoltare.
La cosa certa è che ai leghisti non piace particolarmente Napoli.
Altra cosa certa è che nel mese appena trascorso, tutte le parti si sono incontrate al Ministero dell’Agricoltura per discutere e ultimare il dossier che vedrà l’Italia, con Napoli protagonista, presentare la candidatura nel 2022 del Caffè Italiano – realizzato a Napoli – come Patrimonio Immateriale dell’Umanità.
Ricordiamo che l’Italia attualmente detiene il primato per i patrimoni Unesco e vanta già ben 14 patrimoni immateriali dell’Umanità, confermandosi il paese di maggior espressione culturale al mondo.
Auguriamoci di avere presto nel palmarès anche un altro gioiello. Tutto Napoletano.