Coloro i quali erano tacciati come traditori della patria, nell’inferno dantesco, erano collocati nel nono cerchio, in particolare nella ghiaccia del monte Cocito. Lo strumento della punizione che veniva loro inflitta era il ghiaccio, nel quale i peccatori erano immersi fino alla testa, che faticosamente fuoriusciva dallo stesso.
L’intento sotteso alla dantesca legge del contrappasso era lapalissiano: chi tradisce con perversa e formidabile lucidità, escogitando stratagemmi degni di un criminale professionista, non facendosi mai cogliere in fallo per mezzo di “umani, troppo umani” tentennamenti, avvalendosi di un’infida ed artica imperturbabilità, ha il cuore che rassomiglia ad un’aridissima pietra; anzi, è egli stesso una pietra, a detta del sommo poeta: persino i ladri trasformati in serpenti o i suicidi in sterpi sono pur sempre superiori ad un anonimo e gelidissimo ciottolo.
Se per un’avveniristica sovversione di epoche secolari, se per mezzo di un moto ondulatorio che riporta avanti ciò che è rimasto imbrigliato tra la polvere del Medioevo, Dante fosse stato presente ieri nelle dorate aule del Parlamento, probabilmente avrebbe ben saputo dove collocare i dodici senatori di Italia Viva e qualche franco tiratore del Pd, solleticato “dove gli prode” dalle forze di centrodestra.
Perché no, non siamo al cospetto di un sagace cavallo di Troia, trasportato con mefitica astuzia tra le sale di Palazzo Madama, da un Ulisse che ha le sembianze di un toscano il cui inglese lascia davvero a desiderare; né siamo stati mietuti dal fascino folgorante e perverso del tradimento – quello fatto ad arte, però.
Nessun effetto sorpresa, nessuna suspense di hitchcockiana memoria; lo spoiler era fin troppo chiaro a tutti: qualcuno, dall’alto delle auree stanze dell’Arabia Saudita, ha deliberato la morte del ddl Zan, scegliendo un obitorio d’eccezione: il Senato.
Niente a che vedere con il giubilante applauso levatosi da chi occupa le poltrone dell’ala destra, avendole scambiate per degli spalti di un qualunque stadio: la tifoseria era tipica degli ultras più accaniti, quando un calciatore della loro squadra del cuore segna un goal a porta vuota.
Ma quello stesso calciatore ha un nome e cognome: Matteo Renzi, ormai noto perché affetto da un inguaribile disturbo narcisistico della personalità, con spiccati tratti di bipolarismo, a metà tra un provetto trasformista ed un prosaico istrione, con un forsennato bisogno di avere i riflettori puntati su di sé.
Le sue idee, all’apparenza inflessibili e perentorie, cambiano alla velocità della luce: è stato tra i primi ad adoperarsi per la stesura del testo del suddetto ddl; adesso, dietro il velo di Maya del voto segreto, ne ha sancito la fine, strizzando l’occhio a chi, dotato di una sopraffina intelligenza, è irremovibilmente convinto che un attore del calibro di Richard Gere necessiti di visibilità.
La verità è che a quell’agone politico non importa nulla delle violenze perpetrate a danno di chi si è macchiato della sola colpa di amare una persona dello stesso sesso, delle persistenti ed aberranti aggressioni nei confronti di chi non abita il corpo che vorrebbe e tenta disperatamente di abbellirlo, mutarlo, sotto l’ascia di una società sopraffatta dall’abitudine di puntare il dito contro.
Se ne infischiano, dal momento che il ddl Zan non è altro che uno dei molteplici espedienti scientemente cesellato per porre in essere meschini giochi politici, nell’alveo di una campagna elettorale innestatasi sulla scorta di un vero e proprio olocausto dei diritti civili.
Perché, si sa, bisogna sempre far leva sul consenso. La grande novità, stavolta, è che quegli scroscianti applausi, quelle mani strette in pugni chiusi in segno di schiacciante vittoria, quei sorrisi da saltimbanchi menomati – gli antichi romani usavano dire “risus abundat in ore stultorum”: il riso abbonda sulla bocca degli sciocchi –, quel lascivo silenzio di chi è consapevole di aver commesso un delitto, ma non ha la spina dorsale di confessarlo e, quindi, si dà alla fuga, tutto questo non rispecchia nemmeno in piccola percentuale il pensiero – politico e non – degli Italiani, forse perché a loro non frega, non temono minimamente i probabili esiti catastrofici di quel mostruoso fenomeno chiamato, per l’appunto, campagna elettorale.
Perché i diritti umani sono la cartina di tornasole del valore della civiltà, specialmente in uno Stato di diritto. Peccato che il nostro Stato, made in Italy, abbia le sembianze di un ring, dove si fa a pugni per il sadico e mortificante gusto di vedere chi ce l’ha più lungo. E sul palcoscenico di questa ripugnante arena, ad attendere il colpo fatale della ghigliottina vi è solo chi ha lottato per cercare di essere se stesso e amare chi volesse.
Vedo che fra i traditori gira solo l’ipotesi di Renzi e del PD e non dei grilli. mi pare una lettura sbagliata. Per il resto sono d’accordo.