Omar Palermo, 42 anni, nato in provincia di Cosenza, è deceduto una settimana fa a causa di una serie di complicazioni subentrate in seguito ad una brutta caduta. Omar era famoso per il suo canale “Youtubo anche io”, dove si esibiva facendo impazzire i fan.
Quella che vogliamo raccontare oggi è una storia verosimile, che si nasconde dietro l’ipocrisia dei social e della stampa – quest’ultima complice nel raccontare una verità solo parziale dei fatti, e impegnata a dibattere dei rumors, anziché spiegare o quantomeno tentare di analizzare una realtà che sembra non interessare più.
La materia di interesse ruota attorno all’omaggio che i suoi follower gli hanno dedicato, decidendo di lanciare una campagna per far raggiungere al suo profilo youtube il milione di persone.
Il maestro – così lo definiscono – diviene la sterile etichetta che nasconde la “persona”, con le sue fragilità e insicurezze. Ecco che ad Omar viene associato l’attributo di omone gentile e colto. Nulla esclude che non sia così; ciò nondimeno, non possiamo fare a meno di domandarci: perché la spettacolarizzazione e l’idealizzazione prima tutto? Perché non guardare dietro l’apparenza?
Da parte nostra, questa rappresenta “un’opportunità” per riflettere, al di là delle strumentalizzazioni, sul perché spesso assistiamo ai fenomeni delle abbuffate online.
LO SPETTRO DEI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
Lo spettro dei disturbi del comportamento alimentare prevede tipologie diagnostiche, differenti per eziologia e trattamento. Distinguiamo tra: anoressia nervosa, bulimia nervosa e disturbo da alimentazione incontrollata (DAI).
Secondo quanto riportato dal ministero della salute, i dati epidemiologici per l’anoressia e la bulimia evidenziano che negli adolescenti e nei giovani adulti dei Paesi occidentali, i DCA sono uno dei problemi di salute più comuni, con uno dei più alti tassi di mortalità fra le malattie psichiatriche (Resmark et. al, 2019; Smink et. al, 2012).
Solo in Italia l’incidenza della bulimia nervosa è stimata in almeno 12 nuovi casi per 100.000 persone, in un anno per il genere femminile e di circa 0.8 nuovi casi per 100.000 persone, in un anno per il genere maschile. Sempre in Italia, sia per l’anoressia, sia per la bulimia nervosa la fascia di età per l’esordio è compresa tra i 15 e i 19 anni[1].
Le abbuffate: il disturbo da alimentazione incontrollata
Il DAI, oltre ad essere più frequente, presenta un esordio più tardivo e sembra durare più a lungo rispetto ai precedenti. In base ai risultati ottenuti dalla National Comorbidity Survey, si stima che nella popolazione degli Stati Uniti il 3% della popolazione adulta soffre di DAI[2]. Il DSM/V, che oramai abbiamo imparato a conoscere come Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, definisce il DAI come:
una condizione caratterizzata da ripetuti episodi di alimentazione incontrollata, appunto, non accompagnati dalla presenza simultanea di comportamenti compensatori, contrariamente a quanto accade nella bulimia (vomito autoindotto, uso eccessivo di lassativi, esercizio estenuante).
Eppure, cosa differenzia un comportamento alimentare naturale da quelli del caso specifico? Soffermiamoci un attimo sulla qualità del comportamento. Sempre secondo il DSM, la presenza di alcuni tra i criteri di seguito riportati può essere indicativa del disturbo. In genere:
- Il cibo viene ingerito più rapidamente di quanto fatto in situazioni normali;
- L’abbuffata non termina fino a quando la persona si sente eccessivamente piena;
- La persona mangia in solitudine a causa dell’imbarazzo che prova per la quantità di cibo che ingerisce;
Viene da sé che questo disturbo è spesso associato a problemi medici, come il diabete, la fibromialgia, nonché ad un vasto numero di problemi psicologici. Nel DAI, così come nella bulimia, i fattori di rischio osservati possono riguardare i disturbi dell’umore. Molti soggetti che soffrono di DAI dichiarano di realizzare queste abbuffate per compensare il malessere emotivo sottostante o per le difficoltà nella propria regolazione emotiva. Inoltre, la depressione maggiore risulta il disturbo che più spesso è associato al DAI[3].
PERCHE’ PARLARNE?
Il caso di Omar Palermo ci ricorda, se non altro, la responsabilità sociale e individuale nel prestare attenzione ad una problematica tanto diffusa.
Nella società dell’abbondanza, le aspettative sociali si fanno sempre più pressanti. Il tempo speso a lavorare favorisce la sedentarietà, che a sua volta può contribuire all’esordio di problematiche quali l’obesità.
Ancora, le conquiste di genere e il miglioramento della qualità della vita delle donne lasciano spazio ad un ideale di bellezza femminile che esalta la magrezza: la scarsa autostima derivante dall’imposizione di specifici canoni e aspettative si può riflettere in fenomeni compensativi, o nella ricerca di un’immagine corporea di sé, oltre che mentale, distorta.
In questo, i coetanei, i mezzi di comunicazione, le famiglie, rappresentano una fonte critica ai fini della strutturazione di modelli negativi della propria immagine corporea – in linea con le aspettative imposte dall’esterno, ovvero dal contesto nel quale siamo immersi – che inevitabilmente verranno interiorizzato, guidando le nostre scelte e i comportamenti.
Ecco perché è nostro compito interrogarci su queste storie. Laddove non arriva la nostra sensibilità personale, il pensiero critico può essere un’ottima arma per difenderci dalla deriva della superficialità e dell’idealizzazione onnipotente di una realtà che ci sta stretta, e che molto probabilmente non abbiamo più il coraggio di cambiare.
[1] https://www.salute.gov.it/portale/donna/dettaglioContenutiDonna.jsp?lingua=italiano&id=4470&area=indennizzo&menu=patologie&tab=1
[2] Psicologia clinica e psicopatologia: un approccio integrato. A cura di G. Castonguay e F. Oltmanns. Raffele Cortina Editore. Milano.
[3] Nota 2.
Psicologo, con esperienza maturata in ambito organizzativo. Ha conseguito la laurea in psicologia del lavoro con una tesi sul work-life balance.
Co-fondatore de Il Controverso, cura la rubrica #SpuntidiPsicologia e scrive di tematiche riguardanti la criminalità organizzata.
"Scrivo perché amo andare a fondo nelle cose"