Le donne afghane non hanno più lacrime

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La pietà è muta, le grida di dolore lancinante non sono ascoltate da nessuno, la compassione, intensa e sincera, non è del loro mondo.
Stuprate, vendute come bestiame, violentate, picchiate e pronte all’obbedienza estorta per matrimoni combinati o fatti per procura o per un volgare scambio di foto.
Non possono neppure piangere, commuoversi, hanno il timore atavico, fosco e nero di essere scoperte, svillaneggiate; si rintanano in cantine e nascondono in scantinati per sfuggire alle ronde barbariche dei talebani che, assatanati, le vogliono schiave sottomesse.

Cos’è il diritto? La parità? L’eguaglianza dei sessi? La conquista di un ruolo e di un lavoro nella società? Niente di tutto questo nella medievale Kabul.
Nascere lì femmine è già richiamare un plumbeo destino, segnato dalla paura ancestrale di morire anzitempo e di soffrire le pene più devastanti, come quelle di avere la gola recisa, perché bisogna mostrare l’esempio che parlare troppo fa male.

Non devono esporre le grazie che la natura ha donato loro, non devono respirare, possono semmai chiusi nei burqua sentire solo il loro respiro, che sarà rantolo esile e flebile quando si avvicina l’ora della lapidazione o della morte per giovani donne che intendono scappare via, ribellarsi al destino cinico e baro, all’inferno aperto al cielo.
E devono abbassare gli occhi, non devono scoprirsi al sole, al cielo, alla luna, alle stelle, perché maledette dal Corano che i talebani interpretano come legge di un Dio cattivo e vendicativo.
Ma il Corano, come ci ricorda Amina Afzali, leader delle donne afghane, consiglia di indossare un fazzoletto da testa e a coprire il proprio corpo, ad eccezione del volto e delle mani, ma non chiede di coprirsi dalla testa ai piedi. Per la verecondia ed il pudore non disfatto.

Le donne afghane sono bellissime, hanno la grazia eterea che potrebbe essere mostrata come miracolo di Dio, che non c’è: non si comprende questo mistero impuro e disonesto.
Il loro canto disperato, come quello delle donne troiane che piangevano i loro morti strappati alla vita dagli odiosi achei, non può lasciarci indifferenti, apatici, avulsi, ed insensibili.
Non hanno le donne afghane più le lacrime per amare la libertà. E questa è la nostra colpa.

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Biagio Riccio

Avvocato, dal 1993 esercito la professione forense nel tribunale e nel Distretto di Corte d’Appello di Napoli. Avvocato civilista dall’anno 2008, patrocinante in Cassazione. Fondatore dell'Associazione Favor Debitoris.

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