Ricordo di Roberto Calasso, il sontuoso

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Roberto Calasso aveva il culto degli dei, forse nella sua sterminata curiosità, ingenua quanto quella di un bambino e fantastica quanto quella di un filosofo che cerca la meraviglia, amava quegli autori che volevano scrivere una nuova mitologia.

Perché come ci ricorda Junggli dei sono una malattia” cui tendiamo in modo insopprimibile, perché cerchiamo di evitare la morte. Ecco allora che bisogna ricomporre un binomio inscindibile: quello fra gli dei e la letteratura. Sarà infatti solo la letteratura a rendere possibile questa anelata intesa.

Nel suo magnifico libro “La letteratura e gli Dei”, Calasso ricorda Holderlin: la bellezza suprema, anzi l’ordine supremo, è tuttavia soltanto quello del caos, e precisamente di un caos che aspetta solo il contatto dell’amore per dispiegarsi in un mondo armonico, quale era anche quello della mitologia e poesia antiche. Perché mitologia e poesia sono una cosa sola, indissociabili.

Siamo, dunque, alla ricerca di quella rivelazione poetica che rende possibile quest’accesso nel mondo degli dei, perché questi ultimi riconoscono solo la parola della poesia.

Gli dèi sono ospiti fuggevoli della letteratura. Lo ammette Odisseo, parlando ad Atena:

«Arduo, o dea, è riconoscerti, anche per chi molto sa».

E l’Inno a Demetra ci offre la formulazione più sobria:

«Difficili da vedere per gli uomini sono gli dèi»

Ecco, gli dei possiedono l’eternità: “Ho visto l’Eternità l’altra notte. Come un grande Anello di luce pura e sterminata. Calma quanto splendente”. Sono come le comete:

«Vorrei io essere una cometa? Lo credo. Perché hanno la rapidità degli uccelli; fioriscono di fuoco, e di purezza sono come bambini. A desiderare qualcosa di più grande la natura dell’uomo non può azzardarsi».

La letteratura, diceva Calasso, è una sorta di metafisica naturale, irreprimibile, che non si fonda su catene di concetti, ma di entità eteroclite – brandelli di immagini, assonanze, ritmi, gesti, forme di qualsiasi genere.

Ed il poeta sente con allegria la bellezza di tutte le cose appena l’ha colta nelle leggi misteriose che egli porta in sé.

“La letteratura non è mai cosa di un soggetto singolo. Gli attori sono per lo meno tre: la mano che scrive, la voce che parla, il dio che sorveglia e impone. Il loro aspetto non è molto diverso: tutti e tre giovani, dalla capigliatura folta e serpentina. Facilmente potrebbero essere presi per tre apparizioni della stessa persona. Ma non è questo il punto. Il punto è la divisione in tre esseri autosufficienti. Potremmo chiamarli l’Io, il Sé e il Divino. Fra quei tre esseri avviene un continuo processo di triangolazione. Ogni frase, ogni forma sono variazioni all’interno di quel campo di forze. Perché il punto di vista si sposta incessantemente fra quegli estremi, senza avvertircene. E, talvolta, senza avvertirne l’autore. Colui che scrive sulla tavoletta è assorto, come non vedesse nulla intorno a sé. E forse non lo vede. Forse non sa chi lo circonda”

(La letteratura e gli Dei).

Se si può descrivere in una parola o con un aggettivo Calasso, egli è stato sontuoso. Una vita intera spesa per la letteratura: erudito, scrittore (chi legge non può prescindere dai suoi saggi su Kafka e Baudelaire e dalle Nozze di Cadmo ed Armonia) ed editore di tutti i libri più belli, senza avere sovrastrutture ideologiche e politiche.

Ce li ha anche riproposti: si pensi al rifiuto di stampare le opere di Nietzsche da parte della casa editrice Einaudi ed alle sue integrale pubblicazione con quella dei suoi curatori: Giorgio Colli e Mazzino Montinari, da parte dell’Adelphi. O anche alla ristampa di tutti i libri scritti da Benedetto Croce, con la cura di Giuseppe Galasso. O a quelli di Leonardo Sciascia.

Chi ama i libri, vuole sentire l’odore della carta, innamorarsi dei colori sfavillanti delle sue copertine, non può prescindere, perciò, dal catalogo dell’Adelphi.

Adelphi è tutto lo scibile: e Calasso ne è stato con Roberto Bazlen l’ideatore e l’editore per antonomasia: aveva il desiderio di creare un “libro unico”, fatto di tanti libri di color pastello.

Ci ricordiamo di Lui quando sentiremo il profumo dei libri dell’Adelphi. Lì passa il crocevia della cultura. Ma anche di quello che pensava dei tempi di oggi:

“La sensazione più precisa e più acuta, per chi vive in questo momento, è di non sapere dove ogni giorno sta mettendo i piedi. Il terreno è friabile, le linee si sdoppiano, i tessuti si sfilacciano, le prospettive oscillano. Allora si avverte con maggiore evidenza che ci si trova nell’«innominabile attuale”

(L’innominabile attuale).

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Biagio Riccio

Avvocato, dal 1993 esercito la professione forense nel tribunale e nel Distretto di Corte d’Appello di Napoli. Avvocato civilista dall’anno 2008, patrocinante in Cassazione. Fondatore dell'Associazione Favor Debitoris.

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