“E quindi uscimmo a riveder le stelle”: è l’ultimo verso del XXXIV Canto dell’Inferno della “Divina Commedia” di Dante Alighieri. Dopo aver faticosamente attraversato la natural burella, che collega l’Inferno alla spiaggia dell’Antipurgatorio, Dante e Virgilio alla fine si trovano a contemplare il cielo notturno trapuntato di stelle dell’altro emisfero. È un presagio del nuovo cammino di luce e di speranza dopo le tenebre precedenti, come pura felicità dello sguardo.
La Commedia è uno specchio poetico del cosmo, un dono di parole a scartamento infinito destinato all’umanità intera. Dante ritrova nel firmamento quello che permette ai marinai di orientare la rotta della navigazione, impedendo loro di smarrirsi nel grande mare dell’essere. È quanto mai attuale e doveroso, da parte delle nuove generazioni, alla quale stesso chi vi scrive appartiene, volgere uno sguardo fiducioso e speranzoso al futuro, soprattutto nel buio delle difficoltà.
Qui risiede l’attualità di Dante: nella sua “Commedia” non troviamo una risposta, ma una chiave, la possibilità di affrontare temi che sono sempre attuali e disperatamente umani, quali la politica, l’amore, la fede, il peccato, la redenzione, il libero arbitrio.
Nel nostro presente, già difficile, si è affacciata da un anno a questa parte, una ulteriore, quanto ardua prova per la nostra esistenza: la pandemia causata dal virus Covid – 19.
Chi di noi avrebbe mai immaginato che accadesse un evento così nefasto e inatteso che sconvolgesse le nostre quotidiane esistenze? Forse non era e non è così sicuro il mondo che ipotizzavamo esserlo? In realtà, seppur con i dovuti accorgimenti, questa attualità ha delle somiglianze con quanto raccontatoci dal Sommo Poeta nella sua intera opera.
Perché celebrare Dante non vuol dire mettere in secondo piano i problemi, quelli seri, della vita? L’esistenza è un dono doloroso e il compito dell’arte, in tutte le sue forme, è quella di medicare queste nostre ferite creaturali. La volontà di rinascita dall’oblio può avvenire solo attraverso una lucida e attenta disamina di quello che siamo, di quello in cui crediamo e ciò a cui vogliamo tendere.
La figura di Dante è un simbolo del “mondo italiano”, molto prima dell’unità politica del Paese, di cui abbiamo celebrato il 160˚ anniversario dall’unificazione lo scorso 17 marzo. Dante si proietta verso il futuro e rappresenta un giacimento di poesia, di umanità e mondo spirituale, ancora in parte da esplorare. È simbolo in qualche modo di “preveggenza”, di un rapporto positivo tra passato e futuro: il Poeta immagina la redenzione del Purgatorio, dando forma letteraria alla speranza di poter “rimediare” agli errori e ai limiti, in un modo che pochi decenni prima non esisteva.
Dante ha fondato la visione di un’umanità più giusta e positiva: è una visione “italiana” in senso profondo. L’Italia, e forse l’Europa, non sarebbero quel che sono nella cultura e nel seguir “virtute e canoscenza”, se non vi fosse stato Dante, il quale non è solo, come i più ritengono, la sintesi del Medioevo, ma l’anticipatore dell’umanesimo ancora prima di Petrarca, grazie al colloquio fertile con i classici, nonché il profesta del futuro con una visione moderna dell’esistenza e una simbiosi di vita e di arte, mai così intensa prima né dopo di lui.
Per questo il Dantedì rappresenta, in questo sconfinato mondo globale dei nostri tempi, una salda radice e un’apertura al futuro. Celebrare la data del 25 marzo 2021, nella ricorrenza del VII˚ centenario dalla morte di Dante, vuol dire affidare noi stessi alla consapevole volontà di rinascita in primis dalla cultura, traino indiscusso dell’evoluzione dei popoli grazie al continuo persistere della speculazione del pensiero e dell’ingegno umano.
Rivolgendo gli occhi al futuro, non si può non dedicare un pensiero, nel modo più accorato e autentico, a tutti coloro che lottano e a tutti coloro che, invece, hanno perso la vita a causa dell’irrefrenabile avanzata di questa invisibile minaccia chiamata Covid-19.