L’espressione “Terra dei fuochi” viene comunemente associata all’apparizione di Carmine Schiavone sulle reti locali e al seguito mediatico che la vicenda ha avuto a partire dal 2013, quando molti atti in merito alla vicenda raccontata dal pentito furono desegretati. Le cose stanno diversamente. Il fenomeno condensato nell’espressione di cui sopra copre un arco temporale molto vasto e racchiude al suo interno un’ampia gamma di eventi non sempre ben distinti.
Crisi dei rifiuti in Campania (1994-2012) – RSU (rifiuti solidi urbani) ed ecoballe
Da sempre il territorio campano presenta una serie di inefficienze in materia di ciclo integrato dei rifiuti. Con questa espressione facciamo riferimento al trattamento dei RSU (rifiuti solidi urbani). Si tratta del comune rifiuto che produciamo nelle nostre abitazioni o che può provenire dalle attività di ristorazione.
In Campania il problema si è manifestato, allorquando la mancanza cronica di impianti di trattamento alternativi allo stoccaggio in discarica si è trasformata in una emergenza cronica. Con gli anni le discariche vennero colmate, determinando problemi di conferimento dalla città.
Molti ricordano che l’ondata emergenziale ebbe inizio nel 2007. Tuttavia, altro non è che il culmine di una serie di stati emergenziali che hanno avuto inizio negli anni ’90. Una serie di scelte, che non spetta a noi giudicare come sbagliate, portarono l’allora presidente della regione Campania e commissario per l’emergenza Antonio Bassolino ad affidare alla FIBE (gruppo di società di cui faceva parte la Salini Impregilo, oggi ribattezzata We Built, che si è occupata della ricostruzione del viadotto di Genova) piuttosto che all’ENEL, l’appalto per la costruzione dell’impianto di termovalorizzazione di Acerra. L’impianto avrebbe risolto con non poco ritardo il problema dell’accumulo dei rifiuti.
La stessa FIBE si impegnò nel trattamento dei RSU, affinché la frazione di indifferenziata venisse trasformata in balle (chiamate appunto ecoballe) idonee alla termovalorizzazione piuttosto che al conferimento in discarica (per idonee si intende con un grado di umidità tale da poter essere sottoposte alle elevate temperature del termovalorizzatore). Il danno fu doppio: la FIBE non solo non riuscì a produrre ecoballe di qualità, ma finirono con l’essere stoccate in apposite aree del territorio campano. In aggiunta, vi furono ingenti problemi per la costruzione del termovalorizzatore di Acerra, che venne ultimato con ritardo nel 2009. Il piano che avrebbe salvato la Campania finì per riversare sul territorio tonnellate di rifiuti non adeguatamente trattati, che si sommarono a quelli già presenti nelle strade e in discarica.
La crisi venne risolta definitivamente nel 2012, con l’apertura di ulteriori discariche per accogliere i RSU e con l’esportazione della parte restante all’estero. Purtroppo le ecoballe derivanti dalla frazione di indifferenziata giacciono ancora sul suolo.
Carmine Schiavone ed i rifiuti tossici intombati (anni Novanta – 2013)
Ciò che per l’opinione pubblica ha destato più clamore è quello che è venuto fuori di recente, nel 2013. Le dichiarazioni desegretate di Carmine Schiavone fecero subito scalpore. La questione riguardò in questo caso i rifiuti tossici. Parliamo di un altro tipo di rifiuti: materiali di scarto derivanti da processi chimici come le raffinazioni, le scorie della metallurgia, i solventi, gli olii esausti. Di questa vicenda ricordiamo le dichiarazioni sui terreni oggetto della celebre tratta di rifiuti dal Nord al Sud. Si è parlato di scorie nucleari, discariche a norma e non a norma, della contaminazione delle falde e della mancanza di salubrità dei prodotti agricoli.
In realtà, il modo in cui venne affrontata la questione fu ancora una volta poco professionale. Associazioni, persone costituitesi come parte civile, medici spuntarono dopo anni di strani silenzi. Le televisioni erano invase da esperti campani e persone forti delle loro testimonianze strazianti: una sorta di epidemia di informatori che ricorda molto i tempi odierni ed i cui effetti non sono molto differenti da ciò che accade oggi.
La credibilità dell’opinionista, presentato dai media, ebbe maggiore peso delle spiegazioni scientifiche che potevano meglio rappresentare un fenomeno tanto complesso quanto non scontato come la contaminazione dei suoli. Il riduzionismo allarmistico finì con l’oscurare i dati veri o perlomeno congruenti alla situazione. Fu una corsa allo scovare i terreni contaminati, a collegare il tutto alla fonte delle patologie tumorali come una sorta di teoria della mente dell’opinione pubblica ritenuta da tutti vera, non perché riscontrabile in un numero o un dato, ma perché convincente. Non si tratta di negare quanto di grave avvenne, si tratta di dare un giusto peso alla realtà.
Oggi, grazie ai vari studi ed i dati raccolti, sappiamo che la contaminazione dal suolo ai prodotti non è lineare come pensiamo; i dati dei registri tumori consultabili on-line mostrano una situazione nella norma; non vi è traccia del famigerato nucleare interrato ed i suoli oggetto della contaminazione sono una percentuale ridotta rispetto alle dichiarazioni ufficiali dei pentiti. Eppure, nonostante oltre ogni ragionevole dubbio, in pochi hanno trovato sicurezza nei dati, forse per la mancanza di fiducia nelle istituzioni o forse per la cattiva gestione, se non strumentale, del clamore mediatico. I tempi della scienza scavalcati dai tempi televisivi.
Rifiuti speciali e roghi tossici (da oltre 20 anni)
Sotto gli occhi di tutti avviene quello che è l’ultimo punto che la nostra dissertazione vuole trattare: lo smaltimento illegale tramite combustione dei rifiuti speciali. Parliamo dello scarto derivante dalla lavorazione di scarpe e tessuti, frigoriferi e resti di ogni genere afferenti ad attività commerciali sommerse.
Terra dei fuochi (nel senso letterale) nasce laddove il rifiuto di aziende che lavorano in regime di evasione fiscale deve essere smaltito, in quanto di fatto non esiste. L’incremento del lavoro sommerso rende i roghi un fenomeno endemico in molte regioni. In Campania, però, la forte urbanizzazione fa sì che le aree di smaltimento non di rado si trovino nei pressi dei centri abitati. Il sistema è semplice: i rifiuti vengono trasportati dietro compenso in aree isolate difficili da raggiungere persino per i vigili del fuoco. Lì vengono accumulati per poi essere bruciati.
Il territorio della provincia tra Napoli e Caserta è disseminato di vere e proprie discariche di tale genere, principalmente nelle vicinanze dei campi Rom o nelle aree interpoderali. Chi appicca viene a sua volta rimunerato, mentre i Rom, che in egual modo sono ricompensati, ricavano dalla combustione una serie di metalli che possono vendere per accedere ad ulteriori guadagni. Al calar del sole, all’alba e nel cuore della notte, tonnellate di rifiuti speciali vengono dati alle fiamme per dare spazio ad altri scarichi e cancellare ogni traccia dello scarto. Le aree interne del napoletano e del casertano sono adibite a veri e propri inceneritori a cielo aperto. Il fenomeno è ulteriormente aggravato da pratiche di combustione operate da agricoltori che spesso oltre al fogliame, anche esso contaminato dai pesticidi, smaltiscono le guaine per gli irrigatori o le cassette di plastica del raccolto. A completare il quadro ci sono i roghi dolosi in alcune aziende del territorio, che trattano diversi materiali, spesso sempre rifiuti. Nell’insieme è evidente che questo si ripercuote sulla qualità dell’aria.
Ad oggi in Campania le uniche centraline per il rilevamento delle polveri sottili sono presenti solo nella città di Napoli, mentre l’area compresa a Nord di Napoli e a Sud di Caserta, la più colpita dal fenomeno dei roghi resta sguarnita. Non abbiamo una misurazione temporalmente prolungata dell’impatto che le diossine sprigionate, miste alle polveri dello smog di un territorio fra i densamente popolati ha sulla qualità dell’aria che respiriamo.
Il fenomeno dei roghi avviene da oltre venti anni, con un impatto ambientale ben più ampio. La diossina che si sprigiona va a contaminare in un solo colpo tutte le matrici ambientali (aria, suoli, falde e i nostri polmoni) con possibili danni a breve e a lungo termine. Il vento trascina con sé il particolato dei roghi che finisce col disperdersi a chilometri di distanza.
Appare evidente una forte contraddizione: nel tempo si è parlato di costose bonifiche e si è posto impegno ed attenzione su un eventi come i rifiuti intombati; tuttavia, da oltre venti anni sembra sfuggire di mano un problema prioritario per la salute, ma specialmente per il controllo del territorio.
Perché tanta sottovalutazione? Gli interessi in ballo non possono essere esclusi, né l’influsso esterno, né l’atteggiamento culturale ai problemi. Ciò detto, perché la popolazione stenta ad esserne coinvolta? Sapere di poter ingerire un prodotto presumibilmente contaminato è più suggestivo dell’inalare un’aria di scarsa qualità. Immaginarne le conseguenze è più facile nel primo caso, poiché non si ha un controllo su ciò che potrebbe arrivare sulla nostra tavola. Nel secondo caso, saper di vedere un rogo in lontananza e/o di non sentirne l’odore ci rassicura, ma non ci da contezza del pericolo potenziale.
Una maggiore sensibilizzazione sulle conseguenze con immagini e campagne educative pubbliche potrebbe rendere il rischio percepito più vicino di quello si pensa. Intanto chi resta e osserva l’orizzonte non potrà fare a meno di notare la coltre visibile all’alba di giornate terse.
Approfondimenti:
https://www.minambiente.it/pagina/la-classificazione-dei-rifiuti
Psicologo, con esperienza maturata in ambito organizzativo. Ha conseguito la laurea in psicologia del lavoro con una tesi sul work-life balance.
Co-fondatore de Il Controverso, cura la rubrica #SpuntidiPsicologia e scrive di tematiche riguardanti la criminalità organizzata.
"Scrivo perché amo andare a fondo nelle cose"