Christo: la discordante forza di strappare l’ordinario

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La notizia di qualche giorno fa è quella della morte Christo Vladimirov Javacheff a 84 anni, nella sua casa di New York. Nato a Gabrovo, in Bulgaria, il 13 giugno 1935, è stato tra i più grandi esponenti della Land Art. Con la sua arte modificava e ridisegnava il paesaggio.

Con la definizione di Land Art, e con quella di Earth Workers, vengono indicate quelle operazioni artistiche che, a partire dal 1967-68, in particolare negli Stati Uniti d’America, nei crocevia di New York e nei luoghi sconfinati dell’Ovest americano, sono realizzate da un gruppo di artisti, che si autodefiniscono fanatici della natura, delusi dall’ultima fase del Modernismo e desiderosi di valutare il potere dell’arte al di fuori dell’ambiente asettico degli spazi espositivi e anche delle aree urbane caratterizzate dalla presenza delle istituzioni, intervenendo direttamente nei territori naturali, negli spazi incontaminati come i deserti, i laghi salati, le praterie, ecc., facendo emergere le dissonanze dell’epoca contemporanea.

Di questa corrente artistica Christo ne è stato uno dei più famosi interpreti. Infatti è sua l’opera “Floating Piers” sul Lago d’Iseo, una passerella che sviluppa tutto il suo percorso sull’acqua per tre chilometri andando a cingere, con il suo colore giallo brillante, l’Isola di San Paolo.

Grazie alle sue caratteristiche, la superficie dell’installazione coglieva e rifletteva la luce nelle sue diverse declinazioni e nelle varianti di sfumature che dalla sensazione metafisica della luce zenitale passano poi alle atmosfere serotine, fino ad arrivare alla notte illuminata dalla luna e dalle luci artificiali. Anche il lago svolge un ruolo attivo, entrando in contatto con le sensazioni percettive di chi percorre la strada arancione dai bordi inclinati, che sono stati pensati per immergersi dolcemente nell’acqua.

Christo aveva creato una visione serafica di sera e apoditticamente tangibile di giorno, in una sapiente, quanto controversa, presa di possesso dell’ambiente naturale nel periodo in cui fu presente.

Eppure non è solo questa l’opera, l’artista si è reso famoso grazie ad installazioni temporanee mettendo il “velo”, ed altre volte impacchettando interi edifici e, a volte, intere prospettive.

In tal senso, restano famose le installazioni fatte al Parlamento Tedesco nel 1995 e la Valley Curtain del 1972, dove venne posizionato un telo arancione lungo 400 metri fra le Montagne Rocciose.

C ] Christo and Jeanne-Claude - Valley curtain (Project … | Flickr
Valley Curtain

Cosa voleva rappresentare l’artista con queste opere?

Indubbia è l’influenza del Dadaismo di Joseph Beuys, che lui conosceva personalmente, che fece un’opera nota come “Pianoforte con feltro” con cui nascondeva un pianoforte sotto una pesante tela.

Questo perché il valore dell’oggetto viene esaltato dalla sua assenza nel pensiero di Beuys: non si tratta di nascondere, al contrario di far capire all’osservatore quanto l’oggetto arrivi a significare per la sua vita e la società. Rappresentava anche una velata critica alla superficialità nel vedere le cose da parte delle persone. Un’espressione sincera dell’anti-arte dadaista ed una denuncia, il tutto celando il pianoforte con un telo e mettendo una Croce Rossa a sostegno dell’opera della prima ONG internazionale.

In fondo, quante volte siete passati affianco ad un edificio molto bello e non vi siete soffermati a vederlo. E’ un a cosa normale, eppure, se viene messo un telo su quell’opera, ecco che arrivano critiche ed attenzioni ed articoli su quanto quell’edificio sia stato deturpato (questo è il caso dei recenti restauri, ad esempio, delle Prigioni Nuove a Venezia e dello spiraglio lasciato per il ponte con una famosa pubblicità).

Ora, che ci crediate o meno, questa modalità l’hanno inventata proprio gli artisti della Land Art. E tutto viene fatto in installazione temporanea.

Le installazioni di Christo, piuttosto che svilire le opere, ce ne fanno capire la grande importanza. Non sono opere banali, hanno come obiettivo quello di collegare le persone all’ambiente che le circonda e, visti i numeri sempre fatti dalle opere di Christo, possiamo dire che la missione è stata compiuta.

Infatti, il celare l’oggetto è un fattore scatenante dell’arte di Christo, in quanto l’oggetto nascosto, in realtà, viene risaltato nella sua presenza o assenza di fatto alla vista, immaginato, anelato, esaltato dal sapore enigmatico che questa intromissione nel nostro normale ci dona. Il soggetto esiste, lo sappiamo, ma, tolto al nostro sguardo, rivela tutto il vuoto che lascia il suo non esserci.

La sua estetica, il suo peso, la sua storia, i ricordi che a lui ci legano, vengono rimossi, in un’azione distruttiva che sappiamo però durare fortunatamente poco. Il risultato è un gioco di artifici paesaggistici in cui la razionalità viene travolta dall’onda emotiva e il pensiero risultante è: “così sarebbe se non ci fosse” subito seguito dall’altro rassicurante pensiero, essendo la trasformazione non definitiva: ” ma noi sappiamo che c’è!”.

Questo incontro di emozioni e sentimenti che si annullano tra loro ci porta ad essere, di nuovo, vicino all’opera, a non ignorarla, a non avere uno sguardo superficiale. L’ambiente ci viene strappato con violenza, eppure inconsciamente sappiamo che questo distacco non sarà per sempre.

In fondo, troppo spesso, non viviamo i nostri luoghi, troppo spesso dimentichiamo le cose importanti ed ora, dopo i mesi della quarantena, il ritorno alla precedente, normale, cecità è una possibilità troppo concreta.

E’ morto Christo, ma non può morire il messaggio che lasciava con ogni sua opera: “Alzate lo sguardo! Non dimenticate di essere in un posto bellissimo!

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