Vita social, uno sputo sulla realtà

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Quante volte vi sarà capitato di pensare “proviamoci”, forse non siete i più belli sulla piazza né quelli con la parlata più sciolta. Ma certamente non sarete da buttare, eppure, se esaminiamo un po’ il ricco panorama che ci propongono, notiamo un deciso appiattimento dei canoni verso figure che potremmo definire “da filtro Instagram”.

Foto con tremende saturazioni dei colori, effetti digitalizzati seppia e strani, digitalmente falsi, rimandi a qualcosa di “vintage” in maniera simil-chic. È davvero strano come tutti quanti stiano, sull’onda dei social network basati sulla condivisione immagini, appiattendo la loro personalità nel paradosso di esprimerla. Io stesso non ne sono immune (per quanto sia incapace di usare Instagram di cui sto facendo una non necessaria pubblicità, ma di social “image-based” ce ne sono tanti altri tra cui Hipster, Snapseed, Flickr, Pinterest ed altri, ognuno con una sua nicchia).

Ora non sarò io il guru della tecnologia che vi dirà che il servizio “gratuito” è, in realtà, uno scambio: loro vi danno il servizio (gratuito, ma solo per gli usi personali, poi per le diffusioni commerciali, tranquilli, che sono capacissimi di prenderselo il vostro sudato denaro) e voi fornite un bene decisamente sottovalutato: le informazioni.

Ma non è la (relativa) gratuità che ci interessa, quanto il grande fenomeno sociale che costituiscono. Direte voi: “ma che ce ne importa”. Forse avete anche ragione, ma non si possono sempre ignorare i fenomeni generali bollandoli come noiosi o “da intellettuale da strapazzo”, in fondo ne siamo tutti investiti.

Intorno a noi il mondo e la società cambiano continuamente, in maniera relativamente lenta rispetto ad una vita umana, ma in maniera decisa grazie alle informazioni che concedete, per farvi un esempio:

Ecco a voi una campagna, anche social, che ha portato in giro queste magliette. Potremmo chiederci cosa vi sia di strano. Notate l’aquila presente sopra di esse, assomiglia in maniera “strana” a questa:

Il Reichstag intorno al 1939

Oppure questa:

Emblema del Partito Nazionalsocialista Tedesco del Lavoratori noto come Partito Nazista o NSDAP utilizzato anche come stemma nazionale negli anni 1935-1945, solo col la testa rivolta a sinistra come nelle magliette.

Ma ciò non per denunciare la trovata commerciale, quanto per mostrare come, un po’ per una certa inconsapevolezza, un po’ per via di questa “influenza” che hanno i social su di noi (questa marca non era molto presente negli spot pubblicitari e la ricerca di questi è stata inutile), molti abbiano inconsapevolmente portato un rimando all’ideologia nazista addosso. Il tutto grazie ad una passiva acquisizione di impressioni che sono diventate moda.

Tornando a quanto sopra, quante volte siamo stati presi in giro dai modelli che noi stessi abbiamo creato? Troppi diranno “tutti”, all’esito di questo esame. Quanti profili erano veritieri? Non lo so, non avendo mai indagato, ma spesso la cosa aveva il sapore della pizza all’estero: una promessa non mantenuta.

Eppure ogni nostro like, ogni nostra foto, ogni tag ed ogni commento amplificano certi modelli che non scegliamo neanche consapevolmente e ne finiamo tragicamente schiacciati. L’intera catena di iterazioni sociali ci si ritorce contro. Qui non voglio dire che i social non siano utili, solo che stanno rendendo noi dei prodotti da stampino e stanno uniformando il mondo intorno a noi con la forza di un rullo compressore. Neanche la migliore macchina della propaganda di 30 anni fa avrebbe sognato tanto.

Tutto ciò perché, mentre il televisore, la radio (per chi la usa ancora), i libri ed altri “media” tradizionali hanno la caratteristica di non essere sempre presenti nella nostra vita, i social network, visto che sono alla portata di poche gesture del nostro smartphone li portiamo sempre con noi, li guardiamo di continuo e li utilizziamo anche per motivi professionali o di comunicazione. Eppure essi, proprio per la loro capillare influenza, sono diventati il motore delle mode e c’è gente che investe molto nella pubblicità attraverso questi mezzi.

Forse l’unico che si era avvicinato (ma non del tutto) a questa immagine è stato il citatissimo George Orwell in 1984 ,dove il Teleschermo non andava mai spento e questa era la citazione diretta al Panopticon di Jeremy Bentham, la prigione che non necessitava del controllore. Eppure non sentiamo quest’occhio addosso, ma c’è, ed è tanto vigile da poter modellare la realtà per scopi di puro marketing.

Per questo mi chiedo cosa ci portino i social network: le parole, ripetute taggate, violentate e riciclate, sono come i fiori dopo aver tradito il partner: arrivano svuotate di significato. E lo stesso vale per le personalità, i metodi di approccio e le immagini mentali dei partner ideali, che diventano il simulacro vuoto di un mondo irraggiungibile a cui aspiriamo. Tutto questo sistema ci mantiene attivi come criceti nel cercare di “toccare questo cielo con un dito” portandoci, inconsapevolmente, a fare spese per il nostro apparire, per raggiungere modelli più falsi delle borse comprate in giro.

Ora, non voglio fare il luddista dicendovi di buttare i cellulari nell’immondizia (escludiamo pure l’inquinamento per oggi), ma voglio invitarvi a riflettere: quanto del mondo intorno a voi è cambiato per via della vostra volontà? Quanto di quello che avete cambiato in voi stessi non era in realtà derivato da un “suggerimento” di qualche foto che avete visto? Tutto ciò è un marketing che esiste da tantissimo tempo, ma, mai come in questo periodo, esso è riuscito a penetrare nelle menti e nei cuori di tutti.

Le parole stanno perdendo significato, anche noi stiamo facendo la stessa fine?

Un saluto amici e compagni di viaggio dall’ultima frontiera dell’umanità.

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