Hating online. Riflessioni sociologiche della sua diffusione e in che modo viene alimentata
“Quanto è costato il riscatto di Silvia Romano’” “Impiccatela” “Potevano lasciarla li, ingrata” “Hanno fatto bene a stuprarla”: su Facebook, in questi giorni, si sta leggendo di tutto: insulti carichi di odio, minacce e via dicendo. Ma che diritto abbiamo noi di giudicare una vita umana rapita da 18 mesi?
Non entrando nei dettagli del riscatto, l’odio che si è propagato nei social network non è tollerabile, ma purtroppo è un fenomeno comune, alimentato da personaggi politici di spicco nel panorama italiano, inconsapevoli della loro visibilità mediatica.
Questo genera nei profili delle piattaforma social un senso di emulazione, essendo pronti a partorire commenti al limite del buon senso. E questo, solo per uno spicchio di visibilità passeggera, dimenticandosi di una costumatezza che dovrebbe accompagnare una società democratica, dal momento che, se è vero che viviamo in uno Stato dove esiste la libertà di manifestazione del pensiero (Articolo 21 della Costituzione italiana), è anche vero che la calunnia, le minacce di morte e la diffamazione sono reati perseguibili dalla legge
Il fenomeno dell’“hating” online è in continua crescita e mette alla gogna tantissime persone che spesso hanno vissuto dei momenti difficili, deridendoli nell’agorà della rete.
L’hating non presenta un’essenza diversa da quella comunemente attribuita all’odio offline. Si parla sempre di un’azione mirata a sottomettere ed umiliare altre persone e, in quanto razzismo ed espressioni d’odio, a negare i fondamentali diritti di una persona. Quello che cambia è che, attraverso internet, si offre uno spazio per creare messaggi discriminatori e, in poco tempo e con poco sforzo, diffonderli su larga scala. Internet, in quest’ottica, diventa strumento di propaganda di affermazioni scientifico-sociali, formalmente anche autorevoli, che in realtà mascherano espressioni razziste e xenofobe, dando a tutte le persone un’arma con cui colpire il capro-espiatorio del momento.
In Italia, il disprezzo, che anima la società e che arma i discorsi di coloro che odiano online, viene alimentato dallo scontento per una situazione economica e sanitaria allarmante, dove il clima politico non favorisce una situazione rilassata, essendo pronti tutti alla prossima caccia del capro espiatorio. Inoltre è difficile capire come possano migliorare i livelli di informazione e la qualità del dibattito online in un Paese che investe sempre meno nell’istruzione e in cui si fatica a leggere anche solo un libro all’anno. Frutto di continui tagli all’istruzione, giostrati dai vari politici di diversi colori, che non sono riusciti a intervenire in modo energico sui problemi del nostro sistema scolastico e sul disamore per i libri e per la cultura che caratterizza la nostra società.
In un momento di grande disorientamento politico e morale, in cui tornano in voga concetti pericolosi e discorsi denigratori legittimati anche da politici di primo piano, sembra quasi che l’odio non abbia più anticorpi e freni sociali: i discorsi d’odio si diffondono come virus e si sa: quando un virus è in circolo, ci mette un attimo a diventare una pandemia mondiale.