«Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.»
Art. 8 della Costituzione
Sebbene l’ordinamento giuridico italiano difetti ex scripto di menzionare l’irrinunciabile principio di laicità, dalla lettura di numerosi articoli della Costituzione e con l’ausilio di assiomatiche pronunce della giurisprudenza costituzionale, si squarcia il velo dei sospetti circa la sua esistenza.
Mi sa che non è proprio da matti farneticanti, né da forsennati pazzoidi asserire che lo Stato italiano sia una Repubblica democratica laica e aconfessionale, senza cioè una religione ufficiale. Ma soprattutto, rimbombo dei rimbombi, per chi lo ignora (e ne sono tanti), nientepopodimenoche la nostra Carta costituzionale ingloba addirittura il principio di tolleranza religiosa.
«Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.»
Art. 19 della Costituzione
E quindi, qual è l’arcana ragione per la quale, quando si è al cospetto di una ragazza che finalmente è stata liberata, affiorano le più acrimoniose malignità, il sadismo più incattivito, le parole più graffianti, l’islamofobia più infida?
«Silvia l’ingrata, islamica e felice», «tornata con la divisa del nemico jihadista», o ancora «Abbiamo liberato un’islamica», «tenera con i terroristi di Allah»: soltanto alcuni degli infamanti titoli apparsi su testate “giornalistiche” (dispiace per gli alberi, comunque), la cui carta, forse, dovrebbe essere utilizzata in modi più liturgici. E guarda caso, nelle due diciture galleggia l’epiteto “islamica” e non “musulmana”. Questo perché, se “musulmana” è solo un aggettivo che connota l’appartenenza ad una religione differente rispetto a quella cristiana, “islamica”, al contrario, riecheggia il fondamentalismo, la violenza. E no, non è così.
Quando Jean Paul Sartre fu fatto prigioniero nel 1940, in seguito, descrisse l’uomo antisemita come «un uomo che ha paura. Non degli ebrei, certamente: ma di se stesso, della sua coscienza, della sua libertà, dei suoi istinti, delle sue responsabilità, della solitudine, del cambiamento della società e del mondo; di tutto meno che degli ebrei».
E noi abbiamo paura proprio di questo.
V’è chi si dimena nella spasmodica ricerca di turbe psichiche inesistenti, quali la ora celeberrima “sindrome di Stoccolma”; chi, in tutti modi, vuol rintracciare indizi inesistenti di sedicenti lavaggi del cervello; chi ancora vede nel gesto di carezzarsi la pancia addirittura il nefando segnale di una gravidanza, e con essa un sospetto matrimonio forzato con “il nemico”.
La verità è che una donna che sorride, nonostante le presunte torture, nonostante l’oceano di avversità in cui naviga o ha navigato, frastorna, disorienta, sconcerta. Avremmo preferito assistere al tragico teatro di una ragazza che recasse i segni di deliranti sofferenze, magari con il volto piangente, con lo sguardo smunto per le troppe lacrime versate. E, invece, siamo al cospetto di una donna riguardo alla quale si dovrebbe rimanere muti, non elevarla a simbolo di religioni o altro, ma contemplarla in qualità di persona.
Al contrario, avvertiamo di essere al sicuro, solo quando abbiamo un nemico contro cui scagliarci, un capro espiatorio da crocifiggere, contro il quale sbrigliare tutte le nostre narcisistiche repressioni, tutte le nostre paure camuffate, che si riversano in smaniosa xenofobia, febbrile razzismo ecc . E stavolta il nemico ha le sembianze di una ragazza vittoriosa, felice, libera di professare la religione che vuole. E allora dov’è questa costituzionalmente garantita libertà religiosa? Dove il principio di uguaglianza sostanziale che evoca lo spettro di nessuna differenza «di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche»?
Scusaci, Silvia.